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"In Spagna lo scudo anti femminicidio", di Gian Antonio Orighi

Uno scudo fatto di tecnologia, coraggio legislativo e un senso di «solidarietà collettivo» di fronte all’emergenza. È quello che ha costruito la Spagna negli ultimi dieci anni attorno alle donne vittime di violenza, con i governi di destra e di sinistra. Uno scudo che ha quasi fermato i femminicidi. La tecnologia è, per esempio, quella degli smartphone di ultima generazione messi a disposizione delle vittime a più alto rischio.
Basta schiacciarlo e la più vicina centrale di polizia viene avvertita, rintraccia con il Gps l’esatta posizione della donna e può inviare una volante in pochi minuti.
È «l’arma segreta», per esempio, di Marta. Una mamma di 45 anni che le ha provate tutte per sfuggire al marito, appena uscito dal carcere dopo una condanna a sette anni per violenza di genere che in Spagna chiamano anche violenza machista o terrorismo domestico che ora ha giurato di farla fuori. Ma il suo «tasto de panico» (così viene chiamato» la fa sentire finalmente sicura.
La storia di Marta, classificata, insieme ad altre 5 donne, «a rischio estremo», spiega bene la determinazione del governo di centro-destra del premier Rajoy per frenare il flagello del femminicidio in Spagna.
Dal 2003, sono 700 le donne ammazzate e 37 i bambini trucidati da ex mariti, fidanzati o conviventi; 48 quelle uccise solo l’anno scorso, assieme a loro anche 5 bambini.
È una crociata bipartisan contro la violenza domestica (che in 10 anni ha fatto più vittime delle autobombe dei terroristi baschi dell’Eta), cominciata dall’ex premier socialista Zapatero nel 2004 con la legge sulle Misure di Protezione Integrale contro la Violenza di Genere. Da allora, in ogni commissariato della Polizia di Stato e della Guardia Civil esistono le Upap, Unità di Prevenzione, Assistenza e Protezione contro i Maltrattamenti alla Donna.
Dal 2007, per le donne «a rischio estremo», è possibile cambiare identità, figli compresi, per far perdere le proprie tracce. E dal 2008, le Viogen (squadre anti-violenza) delle forze dell’ordine classificano, dopo un test, 4 casi di pericolo: basso, medio, alto ed estremo.
Negli ultimi due casi, viene affidata alla vittima una scorta. Secondo gli ultimi dati del 2013, le denunce di «malos tratos» sono state 140 mila. La vigilanza dello Stato segue 63.497 vittime, tra cui 47.811 a basso pericolo, 2.812 a rischio medio, 134 a rischio alto.
Marta è rinata 7 anni fa, quando si è decisa a denunciare il marito dopo l’ennesimo massacro. La picchiava tutti i giorni e arrivava quasi a strozzarla ogni volta, con lacci e cinture. In un caso l’aveva trascinata in strada con un collare da cane.
Un giudice, con il vincolo del segreto, ha cambiato nome e cognome sia a lei che al figlio, i loro luoghi di nascita, persino le generalità dei genitori, e le ha consegnato nuovi documenti. Marta ha un nuovo numero della Previdenza Sociale, un nuovo conto bancario. Nessuno sa il suo passato nella città in cui si è trasferita.
All’inizio, una pattuglia la proteggeva sotto casa 24 ore su 24: il torturatore era appena uscito dalla galera e la stava cercando. «Per evitare che l’aggressore possa scoprire la sua nuove identità, si è deciso di iscriverla all’anagrafe con un nome falso», ha deciso il giudice.
Adesso Marta è rinata, anche se la paura non la abbandona mai: «Esco per strada e guardo dappertutto. Ci sono bimbi nella scuola di mio figlio che assomigliano al mio ex marito e quando li vedo mi vengono attacchi di panico. Ho dovuto cambiare casa, amici, la mia città, la mia vita. E continuo a temere che mi possa uccidere».
Nell’ultimo anno sono finiti in carcere 6 mila uomini violenti e, grazie alle massicce campagne su tv, giornali e Internet, sembra stia finalmente cambiando la cultura machista della Spagna. Tutti i media consigliano di denunciare già la prima aggressione e telefonare al numero verde contro il terrorismo domestico, gestito solo da donne, 24 ore su 24. Ogni giorno arrivano 200 telefonate.
L’Ine, l’Istat di Madrid, registra minuziosamente i casi di violenza, e recentemente pure gli orfani. E sembra funzionare anche il Prefetto per la Violenza di Genere: le donne sanno che basta chiamare la polizia e denunciare per far scattare l’arresto preventivo di 72 ore.

La Stampa 07.01.14