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Famiglia, fine del patriarcato “Ai figli si potrà dare il solo nome della madre”, di Caterina Pasolini

Italia condannata, in nome della madre. Messa all’indice perché nega ai genitori la libertà di scelta, il diritto, riconosciuto in mezza Europa, di chiamare i propri figli anche solo con il cognome materno. Ancora una volta il nostro paese è accusato di non rispettare i diritti civili, di restare indietro rispetto alla storia e alle evoluzioni della società. È stato infatti giudicato colpevole dalla Corte di Strasburgo di discriminazione nei confronti «della vita privata e delle donne» avendo negato a una coppia di coniugi di Milano la possibilità di dare alla figlia il solo cognome materno e non quello del padre. Una possibilità comunque prevista in varie forme e gradi dalla Francia alla Germania, dalla Gran Bretagna alla Spagna.
«È una sentenza importante, soprattutto dal punto di vista culturale, è il riconoscimento di un diritto e di una pari opportunità. Ora mi darò da fare perché, come chiede l’Europa, si faccia la legge» dice Maria Cecilia Guerra, responsabile delle Pari opportunità, mentre il premier Enrico Letta twitta: «La Corte di Strasburgo ha ragione. Adeguare in Italia le norme sul cognome dei nuovi nati è un obbligo».
In Italia, dopo vent’anni di disegni di legge affossati e nonostante la Cassazione abbia dato picconate al patronimico bollato in più sentenze come «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia non più in sintonia con l’evoluzione della società e le fonti di diritto soprannazionali», non ci si può ancora chiamare solo col cognome materno. Al massimo, e quasi fosse una gentile concessione di una lunga e faticosa burocrazia, si può aggiungerlo a quello del padre.
Ma ecco la nuova sentenza europea che cambia le carte in tavola, spinge i politici a prendere posizione (un sì arriva anche da Deborah Bergamini di Fi) e ha origine nel lontano ‘99. Ad aprile di quell’anno nasce infatti a Milano Maddalena. I suoi genitori, Luigi Fazzo e Alessandra Cusan, la vorrebbero chiamare col cognome della madre, ma si trovano davanti a un muro burocratico, ad un secco no dell’anagrafe. Decidono di lottare e ora, dopo 15 anni e altre due richieste regolarmente presentate a ogni nascita di figlio, si vedono riconosciuto il diritto alla libertà di scelta, che però non ha valore immediato, ci dovrà essere una legge italiana a garantirlo. «I nostri tre ragazzi ormai hanno il doppio cognome ottenuto dopo lunghe burocrazie,
la legge speriamo serva per quando diventeranno genitori », dice mamma Alessandra.
Dalla Ue arriva l’invito a mettersi rapidamente in regola, ad adottare riforme legislative in linea con la sentenza e con i tempi, perché «aggiungere il cognome materno dopo quello del padre non garantisce un’effettiva eguaglianza tra i coniugi», perché vi sia parità, ci deve essere insomma la possibilità di mettere anche solo il cognome di chi ci ha partorito.
E se tra le prime a muoversi negli anni era stata l’avvocato Giulia Bongiorno, come relatrice in parlamento di una legge per il diritto al cognome materno, ora in parlamento sono tre le proposte di legge (Pp, Fi e Nuovo Centrodestra), mentre on line, sul sito equalityitalia. it, è stata invece lanciata una petizione dal titolo «nel cognome della madre», già sottoscritta da migliaia di donne. «La sentenza della Corte europea di Strasburgo è una vera svolta per la parità tra i sessi», commenta Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione avvocati matrimonialisti italiani: «Le nostre leggi sono ancora fortemente di stampo patriarcale. Da vent’anni si parla di libertà nell’attribuzione del cognome ai figli, ma sono forti le resistenze».

La Repubblica 08.01.14