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"E i democratici convergono sulla proposta del leader", di Vladimiro Fruletti

Questa volta si sta guardando più alla luna che non al dito». Matteo Renzi con i suoi collaboratori si mostra soddisfatto delle reazioni suscitata dal suo Jobs Act. Soprattutto da quelle che stanno arrivandogli da dentro il Pd. Del resto lo stesso Renzi ha costruito, assieme a Marianna Madia e Filippo Taddei, un documento che non mette in primo piano il «dito» della possibile discordia. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non viene mai citato. E tutta la questione sulle nuove regole contrattuali è messa in coda preceduta da indicazioni su come creare posti di lavoro. Insomma si notano più capitoli per un piano di politica industriale che non indirizzi giuslavoristici.

Così in vista della direzione del 16 gennaio in cui la bozza, apparsa mercoledì sera nella sua e-news sotto forma di titoli e intenzioni anche un po’ generiche, diventerà un vero e proprio piano, il segretario democratico può rilanciare via twitter la richiesta di suggerimenti e anche critiche alla sua email (matteo@matteorenzi.it). Proprio perché, eccezion fatta per le parti più estreme della sinistra (da Ferrero a Cremaschi, ai sindacati di base), non è arrivata nessuna bocciatura. Anzi. La Cisl ha già dato il suo via libera e la Cgil e la stessa Fiom (con Camusso e Landini) vogliono andare a vedere le carte di Renzi, ma già salutano come un fatto positivo che il Pd abbia rimesso al centro della propria azione politica il lavoro. Disponibilità che rendono ovviamente più agevole il confronto interno al Pd che con la Cgil non avrà sicuramente più alcuna cinghia di trasmissione ma, almeno in una sua parte assai rilevante, condivide un comune sentire. Concret mente questo significa che al di là del caso Fassina il confronto fra Renzi e l’area che ha sostenuto Cuperlo dovrebbe portare a una posizione comune giovedì prossimo in direzione. Lo stesso presidente dell’assemblea Pd coi suoi ha spiegato che non c’è alcuna «contrarietà pregiudiziale» ma anzi la volontà di entrare nel merito del documento al fine di evitare che «diventi qualcosa d’altro». «A me interessa che non vengano scongelate vecchie proposte e che tutto non si riduca ad una discussione sulle regole» è la posizione di Cuperlo che appunto guarda alla luna. E non è un caso che si sentano più battimani dalle parti dei Giovani Turchi che non da quelle di Pietro Ichino che pure era stato uno degli ispiratori delle proposte renziani ai tempi delle primarie contro Bersani. Infatti il parlamentare di Scelta Civica annota un eccessiva cautela nelle proposte del segretario-sindaco: ad esempio sul contratto di inserimento sottolinea come sia preceduta dall’espressione “processo verso” «pericolosamente tratta dal sindacalese».

All’opposto c’è il «positivamente sorpreso» Fausto Raciti, Giovane Turco del Pd, che pure poche settimane fa aveva espresso, assieme a Matteo Orfini e altri, più di una contrarietà alle mosse di Renzi sul lavoro. Certo Raciti spiega all’Huffington che è stato il segretario Pd a avvicinarsi alle loro posizioni e tuttavia (anche evitando di mettersi a contare chi abbia fatto passi verso chi) il dato oggettivo è che le distanze si sono se non annullate di certo molto accorciate. «A noi non interessano – dice – i giochini di maggioranza e opposizione nel partito. Se Renzi dice A noi non diremo automaticamente Z». E infatti an- che Matteo Orfini giudica «condivisibile l’impianto» tirato su da Renzi proprio perché «non è solo giuslavoristico», ma parla «a 360 gradi di come si crea lavoro». Ovviamente poi nel merito Orfini così come l’ex responsabile la- voro della segreteria Bersani, Cesare Damiano, avanza interrogativi ancora irrisolti. Tuttavia puntualizza come il Pd debba uscire con una proposta forte e con dei «paletti» ben precisi per evita- re di «partire bene ma arrivare male». Paletti cioè da rendere invalicabili nel momento in cui questo piano per il lavoro diventerà oggetto di contrattazione nella maggioranza di governo visto che lì ci sono forze politiche e personalità che «hanno idee molto diverse dalle nostre».

Ecco, molta freddezza semmai si rscontra fra i ministri. Sia quello del lavoro, Giovannini, che quello allo sviluppo economico, il bersaniano Zanonato, smorzano facili entusiami richiamando la questione dei costi troppo alti per rendere praticabili le misure ideate dal Pd. E Alfano parla di «solita zuppa» targata Cgil condida da un po’ di inglese. Obiezioni che non sorprendono Renzi. Che però, come twitta il fidatissimo Da- vide Faraone, spera che «entrino in campo e ci diano una mano gli amanti del bel gioco e stiano in panchina i cultori del catenaccio».

L’Unità 10.01.14

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«La direzione è giusta, ma svegliamoci»di Laura Matteucci

«Questo Paese ha bisogno di ridefinirsi, di decidere che cosa vuol essere tra 15, 20 anni. Siamo il nono Paese al mondo per produzione di Pil, il 56esimo per competitività. C’è bisogno di un proget- to nuovo, va chiarito innanzitutto il tra- guardo, a quel punto si capisce anche come arrivarci». Parla Marco Boglio- ne, patron dei marchi Robe di Kappa, K-Way, Superga.

Intende dire che la bozza del Piano di Renzi per il lavoro non la convince? «No, no, anzi: le indicazioni sulla politica del lavoro che dà Renzi penso vadano nella direzione giusta. È che vanno inserite in un progetto complessivo di lungo periodo. Il contratto unico a tute- le crescenti? Sono d’accordo, è un approccio intellettualmente corretto, lo pensiamo in molti. Tra l’altro, io sono convinto che il contratto a tempo indeterminato sia una schiavitù per i giovani, perché mentre dovrebbero rischiare, macinando esperienze, finiscono invece per vivere sotto ricatto. Dovrebbe essere un punto di partenza, non l’obiettivo conclusivo. Ma oggi, rinunciare ad un contratto a tempo indeterminato per creare un’impresa, inseguire un sogno differente, verrebbe vista come una follia. E guardi che non è un problema della singola persona, perché se i giovani spengono il cervello il rischio lo corre l’intero Paese». Questo forse con un mercato del lavoro infinitamente più vivace e più prospero del nostro. Qui la disoccupazione continua a salire, quella giovanile è al 41%. «Se vogliamo un mercato vivace lo dobbiamo liberalizzare. Dobbiamo velociz-

zare il sistema, dare un taglio drastico alla burocrazia che ci ingessa e ci irrigidisce: siamo considerati tra i primi 10 Paesi al mondo per pesantezza della burocrazia, e se Steve Jobs si fosse chia- mato Stefano Lavori non sarebbe andato molto lontano. Ci facciano pagare, a noi imprenditori, una tassa in più per creare un fondo nazionale di sostegno ai disoccupati, ma ci liberino dal vincolo di dover tenere in azienda qualcuno di cui non abbiamo più bisogno». Torniamo al Piano di Renzi: il taglio dei costi dell’energia, quello del 10% dell’Irap, sono proposte che la trovano d’accordo, giusto?

«Certo, tutte cose giuste da fare. Io sono un grande tifoso di Renzi, ma il punto è che senza una visione globale del Paese, una strategia complessiva di lungo termine, queste proposte rischiano di non servire a molto».

Non mi dica che il sistema imprese non ha responsabilità…
«Non glielo dico. Però aggiungo: negli Usa, ma anche in Norvegia o in Svizzera sono al 25% di tassazione. Qui, tra le tasse sul reddito e gli annessi e connes- si, viaggiamo sul 67%. Giuro che è impossibile competere».

Lei la ripresa la vede?

«Ci siamo stabilizzati, ma non si può parlare di ripresa. Da metà 2012 a metà 2013 si è inchiodato tutto, a parte lo spread che si è impennato; adesso è passato lo shock, vediamo che siamo sopravvissuti, la maxispeculazione sui mercati finanziari è rallentata. Tutti da- ti positivi, ma non è ancora successo niente che possa far sperare in una ve- ra inversione di tendenza. Del resto, la ripresa può avvenire in due modi: attraverso la domanda interna – e adesso la gente è immobilizzata dalla paura – o perché il Paese è competitivo ed esporta. E qui si torna al problema della burocrazia e dell’eccessiva tassazione». Per l’occupazione che anno sarà? «Visto che non è cambiato nulla, temo non potrà migliorare molto».

L’Unità 10.01.14