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"Cognome e pastoie", di Chiara Saraceno

L’idea che ci debba essere un privilegio paterno, almeno nella continuità del cognome, continua a prevalere tra i nostri legislatori. Il disegno di legge sul cognome che può essere attribuito ai figli approvato dal Consiglio dei ministri sembra partire con il piede sbagliato, rischiando così di incorrere di nuovo nella censura della Corte di Strasburgo. Secondo le notizie di agenzia, il disegno di legge prevede che il figlio «assume il cognome del padre ovvero, in caso di accordo tra i genitori risultante dalla dichiarazione di nascita, quello della madre o quello di entrambi i genitori». Questa formulazione ancora una volta privilegia il cognome paterno, che verrebbe attribuito di default, mentre per attribuire il cognome materno o quello di entrambi i genitori occorrerebbe una esplicita richiesta e dichiarazione di consenso. In ottemperanza al principio di libertà di scelta nelle questioni che riguardano la vita privata e della uguaglianza tra madri e padri, la norma dovrebbe essere formulata in modo da non privilegiare alcuna delle tre soluzioni, chiedendo che all’atto della dichiarazione di nascita, eventualmente prima che essa avvenga, i genitori dichiarino quale cognome vogliono attribuire al figlio. La procedura sarebbe simile a quella richiesta oggi quando il padre non coniugato con la madre vuole riconoscere il figlio dandogli il proprio cognome.
Non è, inoltre, chiaro perché non dovrebbe essere possibile almeno aggiungere il cognome della madre ai figli nati prima dell’entrata in vigore della legge. Capisco le difficoltà burocratiche, ma anche di continuità della riconoscibilità sociale di un individuo, a prevedere un cambiamento radicale di cognome. Ma la possibilità di aggiungerlo senza dover fare lunghissime trafile burocratiche come avviene attualmente non dovrebbe presentare problemi insormontabili e soddisferebbe coloro che avrebbero desiderato farlo, ma ne sono stati scoraggiati, quando non impediti. Contestualmente si dovrebbe modificare la norma che stabilisce che all’atto del matrimonio la moglie aggiunge al proprio il cognome del marito, lasciando liberi entrambi i coniugi di aggiungere o meno il cognome dell’altro e di definire quale sia il cognome di famiglia.
Giacciono in Parlamento diverse proposte di legge che toccano questi temi, ma sembra che la presidenza del Consiglio, o chi ha formulato il disegno di legge, li ignorino. Temo che anche in questo caso siamo di fronte alla logica consueta che entra in azione in Italia quando si toccano questioni che hanno a che fare con la famiglia: si arriva con ritardo a regolare ciò che altrove da tempo fa parte dei diritti di libertà e in nome di questo ritardo si pretende di procedere lentamente, perché la società “non sarebbe pronta”. È successo con il divorzio, arrivato tardi e con vincoli (processo a due stadi, con lungo periodo di attesa intermedio) sconosciuti in altri Paesi. È successo con l’equiparazione piena tra figli naturali e legittimi, per cui ci sono voluti oltre quarant’anni, più un anno tra la modifica della legge e i decreti attuativi. È successo con la riproduzione assistita, che è regolata da una delle leggi più restrittive al mondo. Sta succedendo con il riconoscimento delle coppie omosessuali, per le quali si inizia, tra molte resistenze, a discutere di unioni civili, mentre i Paesi che le hanno introdotte da più tempo stanno passando al matrimonio. E sembra stia succedendo anche con il cognome. Nel frattempo, in società, le famiglie, i rapporti tra uomini e donne, il modo in cui si decide di generare, i rapporti tra le generazioni cambiano e in molti casi rischiano di rimanere fuori, non solo dalle regole, ma dalle protezioni. Fino alla prossima sentenza di una Corte.

La Repubblica 11.01.14