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"Dalle fiaccole alle mutande verdi", di Sara Strippoli

Il Governo di Roberto Cota inizia con una fiaccolata e con una fiaccolata potrebbe finire. Oggi il presidente del Piemonte torna in strada raccogliendo l’urlo di golpe lanciato da Matteo Salvini. Quattro anni fa, era il 28 giugno 2010, una delle piazze del centro storico di Torino si illuminava.
EL’EX-presidente del centrosinistra Mercedes Bresso veniva rappresentata nei cartelli come la “mummia” da abbattere, la zarina ossessiva che aveva osato mettere in discussione la vittoria. In piazza le camicie verdi del Carroccio si erano mescolate alle cravatte del Pdl: «Cota presidente, l’ha scelto la gente».
Questo pomeriggio invece le fiaccole saranno alzate davanti alla sede del Consiglio regionale, protagonista dell’inchiesta sui rimborsi dei gruppi consiliari, con 43 consiglieri su 61 che attendono di sapere se saranno rinviati a giudizio. Fra loro il governatore della Lega. Le mutande verdi comprate in un viaggio a Boston e inserite fra le spese del gruppo della Lega sono diventate la bandiera di questa Rimborsopoli piemontese. I boxer verde-muschio trasformati in simbolo del territorio ben più della Mole Antonelliana.
Fra una fiaccolata e l’altra sono trascorsi quattro anni. Cota e la sua maggioranza hanno amministrato sempre sul filo del rasoio: quattro assessori caduti durante il percorso e uno sforzo continuo per mostrare efficienza a dispetto di un debito di nove miliardi che blocca l’annunciata rivoluzione leghista. Al centro una sanità che vale l’ottanta per cento del bilancio regionale (12 miliardi) sempre ad un passo dal commissariamento. Medici in rivolta per tagli che ritengono insostenibili e che stridono non poco con l’allegra gestione del budget dei partiti.
Dietro le quinte anche una guerra senza esclusione di colpi combattuta all’interno del Carroccio, nel cerchio magico di Cota che da tempo ha perso la tutela del suo padrino politico Umberto Bossi. Mentre dal maroniano Matteo Salvini, l’avvocato di Novara riceve solo una difesa d’ufficio. Non sono pochi gli examici fraterni del governatore ad aver fatto le valigie. L’assessore all’innovazione Massimo Giordano è costretto a lasciare coinvolto in un’inchiesta per fatti che risalgono al 2006; il fedelissimo ex-capo di Gabinetto Giuseppe Cortese viene prima allontanato con un incarico a Expo 2015 e poi lasciato a casa definitivamente, anche lui coinvolto nelle indagini giudiziarie.
L’impressione in questi quattro anni è quella di aver assistito ad un rodeo: ricorsi e controricorsi, lotte interne alla maggioranza. Se non bastasse, la Finanza arriva nelle sedi dei gruppi consiliari, con l’assemblea di Palazzo Lascaris che reagisce sdegnata all’idea di essere paragonata al caso Lazio: «Siamo in Piemonte. Qui Fioriti non ce ne sono».
Le crepe si fanno vedere da subito: il 7 maggio del 2010 viene depositato il ricorso di Mercedes Bresso e il 26 maggio il governo comincia già a scricchiolare. Il primo a lasciare è il vicepresidente della giunta Roberto Rosso, che prima lascia per andare in Parlamento e poi riappare nei panni di un improbabile fustigatore. Rosso si lascia andare in tv: commenta le vicende del Lazio e racconta di un consigliere regionale piemontese del Popolo della libertà in vacanza in montagna a spese del contribuente. Il colpevole non sarà mai trovato ma la valanga è partita e la magistratura comincia ad indagare sulle spese pazze della Regione.
Prosegue intanto la guerra del voto, mentre le indagini giudiziarie fanno scattare le manette per l’assessore alla sanità Caterina Ferrero, Pdl, con l’accusa di turbativa d’asta. Il processo è ancora in corso. A guidare il turbolen-
to assessorato arriva il manager ex-Fiat Iveco Paolo Monferino, alle cui mani Cota affiderà il tassello più importante del suo programma di governo, le sorti della riforma sanitaria. Peccato che anche questa strategia si rivelerà un flop. Monferino lascerà a marzo dello scorso anno accusando la politica di osteggiare ogni cambiamento.
Il 28 settembre del 2012 la Finanza irrompe nella sede dei gruppi consiliari. Si acquisiscono le carte sui rendiconti del gruppi, si fotocopia tutta la documentazione su gettoni di presenza e rimborsi chilometrici. Si scopre che consiglieri globetrotter sono stati capaci di firmare tremila
chilometri al mese. L’11 dicembre i primi indagati, fra i quali la stessa presidente Bresso per finanziamento illecito ai partiti. Il conto finale sarà drammatico: 56 indagati su 61, Cota compreso.
Sullo sfondo sempre la guerra del voto. Fra Tar, Consiglio di Stato e Cassazione si inserisce anche la Corte dei Conti che vorrebbe andare a controllare le spese indietro nel tempo, fino al 2003. Per l’assemblea di Palazzo Lascaris un incubo. A metà novembre la sentenza della Cassazione: l’alleato Michele Giovine è condannato per le firme false. Roberto Cota attacca i giornali: «Questa non è una notizia».

La Repubblica 11.01.14