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"Una corsa a ostacoli", di Massimo Riva

La partita dell’Imu è nata già male sotto l’impronta del cinico populismo berlusconiano di chi ha preteso di privilegiare la detassazione delle rendite immobiliari rispetto ai prelievi sui redditi da lavoro, fonte primaria per il sostegno della crescita economica.
Poi è stata gestita per nove lunghi mesi nei modi peggiori lanciando quasi ogni giorno al Paese messaggi opachi, incoerenti, contraddittori in un balletto di va e vieni sulle effettive intenzioni del governo che ha oscurato agli occhi dei cittadini anche il senso di ciò che stava accadendo.
Ora, infine, in un crescendo farsesco di cifre e date fatte danzare nell’aria, i malcapitati contribuenti si trovano vittime di una situazione che è generoso definire paradossale. Sanno che devono comunque pagare un balzello residuo, sanno che devono farlo presto ovvero entro la prossima settimana. E, però, ignorano quanto ciascuno dovrà versare all’erario perché la formula di calcolo indicata dal governo è un enigma risolvibile soltanto da chi dispone di informazioni precise e aggiornate sulle delibere assunte in proposito dai singoli comuni di residenza. I quali, per la loro parte, non sono stati in grado di far pervenire ai propri cittadini i consueti moduli prestampati per l’ovvia ma sostanziale ragione che le decisioni finali del governo in materia sono arrivate così a ridosso della scadenza di pagamento da mettere fuori gioco anche l’informatica municipale.
Fra i tanti dovrebbe cavarsela senza danni e patemi d’animo soltanto quella minoranza di contribuenti che si avvale di un consulente tributario ovvero può permettersi di pagare anche la parcella di un commercialista. Per tutti gli altri, che sono non solo la stragrande maggioranza dei contribuenti ma sovente anche la fetta di società meno avvezza alle procedure amministrative, è semplicemente il caos. Come mostrano le fotografie di sterminate e penose file di cittadini in coda dinanzi agli sportelli comunali per farsi aiutare nella decrittazione di una formula di pagamento che consenta loro di sentirsi in pace con se stessi e con il dovere fiscale regolarmente assolto verso l’erario. Scene indecorose che danno un’immagine repellente da pogrom fiscale organizzato da uno Stato che non ha ancora imparato, dopo quasi settant’anni di Repubblica democratica, a trattare gli italiani da cittadini anziché da sudditi. E non sa nemmeno mostrare segni di ravvedimento dinanzi a questo spettacolo, per altro verso straordinario, di un popolo che si affolla ai pubblici sportelli per poter pagare — non evadere — l’obbligo tributario.
Sì, certo, si può anche spiegare il magmatico percorso della vicenda Imu con le oggettive difficoltà di cassa del bilancio pubblico oltre che con i contrasti di visione tra forze politiche su qualità e quantità dei provvedimenti in materia. Ma non si tratta di spiegazioni che possano suonare anche da giustificazione. Perché mai, infatti, deve ricadere sulle spalle dei cittadini un costo suppletivo che ha la sua origine soltanto nell’incapacità politica di governare i processi legislativi secondo normali regole di tempistica e di buon senso? Perché, purtroppo, proprio questo è ciò che sta accadendo. E non si venga a dire, per favore, che un così pesante e diffuso disagio non era né prevedibile né frutto di un’inconsulta volontà da parte di chi governa. Gli italiani sono ormai vaccinati dinanzi a questi alibi: di balbettanti «a mia insaputa» ne hanno già sentiti davvero troppi.

La Repubblica 18.01.14