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"Industria in crisi, a rischio 18 mila posti di lavoro", di Paolo Baroni

Non passa settimana che via Molise sia transennata. Un presidio, un corteo non mancano mai nella strada che costeggia il possente palazzo Piacentini, nato nel ’32 al tempo delle Corporazioni che oggi ospita il ministero dello Sviluppo economico. E’ così per tutte o quasi le settimane dell’anno, che piova a dirotto come la scorsa settimana o che il termometro segni 40 gradi. Del resto al ministero, negli ultimi due anni, hanno dovuto aprire ben 159 i tavoli “di crisi”, tavoli che interessano imprese grandi e meno grandi, singoli stabilimenti e multinazionali estere, tutti chiamate a rapporto da governo per evitare il peggio: licenziamenti, ristrutturazioni, chiusure.

Sessanta intese

Fino ad oggi sono sessantadue gli accordi siglati d’intesa con le parti sociali e gli enti locali, che corrispondono a circa 12 mila posti messi «in salvo». Allo Sviluppo snocciolano con soddisfazione l’elenco: 1600 alla Micron di Avezzano, 1500 alla Natuzzi, 2000 alla Berco, 1400 alla Indesit, 800 alla Novelli, 500 a Porto Torres, 450 alla Sigma Tau e poi Richard Ginori, Sixty, Plasmon, Valtur e via discorrendo. Solo negli ultimi giorni si è riusciti a rinviare la chiusura dell’Ansaldo Breda di Palermo, che voleva sospendere l’attività e mettere in cassintegrazione a zero ore oltre 150 operai, e a siglare un protocollo d’intesa che consente di avviare il rilancio del polo siderurgico di Piombino, per il quale sembrano affacciarsi nuovi investitori esteri dopo il flop dei russi di Severstal.

Ma il lavoro da fare è ancora tanto. «Il 2014 sarà l’anno decisivo pr capire il destino dell’industria italiana», commentano nei corridoi infiniti del ministero. Mentre i sindacati, con i metalmeccanici in prima fila, non perdono occasione per chiedere al governo misure più incisive ed efficaci in materia di politica industriale.

Nuove emergenze

In queste settimane stanno esplodendo nuovi casi: il più rilevante riguarda Electrolux, sei-settemila dipendenti sparsi tra Susegana e Porcia, vicenda che tra l’altro sta mettendo a dura prova i rapporti istituzionali tra due regioni, il Veneto ed il Friuli, ed il governo (sia lo Sviluppo economico che palazzo Chigi). E poi restano in sospeso tantissime altre vertenze.

Al ministero segnalano «una significativa tendenza delle multinazionali stranieri a disinvestire nel nostro Paese», mentre le imprese italiane riportano in Italia parte delle loro produzioni come hanno fatto Natuzzi e Indesit. In bilico, o meglio a rischio, ci sono così almeno altri 18 mila posti di lavoro su un totale di 120 mila addetti interessati da stati di crisi. Ben 18 imprese, che occupano in totale 2300 dipendenti, hanno addirittura annunciato di voler cessare l’attività. Tutte le altre tagliano posti, chiudono stabilimenti e ristrutturano senza andare troppo per il sottile.

I settori in difficoltà

La recessione dalla quale l’Italia sta uscendo molto a fatica è stata pesantissima e non ha risparmiato nessuno. Nessun settore produttivo è rimasto indenne, dal Nord al Sud. Elettrodomestici, siderurgia, farmaceutica, componentistica auto e moto e telecomunicazioni sono i comparti più colpiti. Nella lista dei casi ancora aperti ci sono la Aristide Merloni (3500 occupati), Agile- ex Eutelia (1900), Alcatel Lucent (2000), Alpitur (3500), la chimica di Basell (2000 dipendenti), i 1100 della Detomaso ed i 1500 di Eon, Golden Lady (3500) e Filanto (650), Menarini (farmaceutica, 3000 occupati) ma anche i 200 del Pastificio Amato. E poi Manutencop (15mila), Tirrenia, Fincantieri, Xerox, Sirti (4400) e Micron (4400) nel settore tlc, le cartiere Reno De Medici (1700), i vetri Pilkinton, l’itc di Nokia-Siemens (1200) e tante, tante altre aziende note e meno note.

Su tutti, però, i settori che preoccupano di più il governo, «che richiedono una particolare attenzione» come dice il sottosegretario De Vincenti, sono siderurgia e industria dell’elettrodomestico. Il primo è un comparto che un paese manifatturiero come il nostro non può permettersi di perdere perché ne costituisce la linfa vitale, il secondo è invece un comparto che un tempo era di eccellenza assoluta e che oggi risulta spiazzato dalla concorrenza internazionale. Solo in questi due settori ballano quasi 50 mila posti.

La battaglia non si presenta però facile perchè a patire le maggiori difficoltà sono le imprese che più delle altre soffrono l’appensantimento dei costi di produzione dovuti al costo del lavoro ed ai costi dell’energia. Due “moloch” difficili da sconfiggere, nonostante la crisi ci abbia già fatto pagare un costo molto salato.

La Stampa 20.01.14