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"L’ottimismo a Davos l’incertezza nel mondo", di Francesco Guerrera

A Davos, quest’anno, l’élite mondiale non è scivolata. Le Alpi svizzere sono state innevate come da cartolina, la temperatura è rimasta ostinatamente polare e i marciapiedi si sono ghiacciati come sempre. Ma ministri, banchieri e capitani d’industria hanno levitato su una nuvoletta di ottimismo. Non che i risultati del rito annuale del World Economic Forum siano stati diversi dal passato: tanti incontri, molte parole e qualche promessa ma tutto sommato poco di fatto. Nonostante ciò, i potenti rintanati in questo paesino ormai troppo piccolo erano di buon umore.

«E cosa temi?» mi ha detto un banchiere tedesco mentre sorseggiavamo un liquore verde non ben identificato a uno dei tanti ricevimenti. Per lui, il bicchiere era mezzo pieno. «I grandi pericoli si sono dissipati. Da qui in poi, la situazione migliorerà», ha proclamato. Banchieri tedeschi e ottimismo non sono compagni di viaggio abituali, quindi gli ho chiesto di spiegarsi. Con logica teutonica ha elencato le tre grandi paure degli ultimi anni che ora stanno battendo la ritirata: la disintegrazione dell’euro; un rallentamento dell’economia cinese; e un’esplosione medio-orientale con ripercussioni internazionali.

Sulla scomparsa della prima non ci sono dubbi. Basta guardare alla vera star del Wef. Non Bono, Matt Damon o la Sheryl Sandberg di Facebook ma Mario Draghi e la politica monetaria che ha salvato la moneta unica.

«Sei fiero di essere italiano come Super-Mario?», mi ha chiesto un investitore americano che di solito si specializza in battute sull’ incapacità economica dei nostri compatrioti. Mi ha pure suggerito il titolo per un articolo: «Draghi sconfigge il dragone della crisi».

Con la zona-euro sotto i riflettori, la Cina è rimasta dietro le quinte. Pochi delegati, com’è tradizione per un governo che non ama il forum, ma molte certezze. Il consenso di Davos è che i nuovi leader di Pechino riusciranno a far crescere l’economia di più del 7% quest’ anno – una velocità di crociera accettabile sia per i cittadini cinesi che per il resto del mondo.

E il Medio Oriente? E’ strano pensare che i politici e gli esperti riuniti a Davos possano avere speranze per una regione che ospita la Siria, l’Iran e Israele. A Davos, la tensione tra gli ultimi due Paesi è stata palpabile. Ci è voluta tutta l’efficienza svizzera per non far incontrare, o scontrare, la delegazione iraniana guidata dal presidente Hassan Rouhani e politici israeliani tra cui Shimon Peres e «Bibi» Netanyahu.

Ma anche su questo punto, l’opinione dei leader del Wef era che nessuno ha intenzione di trasformare conflitti regionali in guerre mondiali. Fin qui, tutto bene. Anzi benissimo. Giovedì – dopo due giorni passati ad ascoltare le opinioni positive che riecheggiavano nelle caverne del centro congressi – ho pensato: magari ci possiamo rilassare, goderci le montagne che tanto piacevano a Thomas Mann e tornare a casa ristorati e speranzosi.

Ma prima di mettere via il taccuino e andare a sciare con Matt Damon o farmi un Irish coffee con Bono, sono uscito dalla zona blindata del centro congressi per incontrarmi con dei signori del denaro. Volevo capire se anche loro – investitori e banchieri che scommettono miliardi di dollari sul futuro – fossero saliti a bordo della nuvoletta rosea di Davos.

Ed è qui che la storia si complica. «Non confondere il sollievo con la fine dei problemi», ha ammonito il capo di un’azienda d’investimenti americana a colazione. Tra cucchiaioni di muesli, mi ha convinto che l’economia europea è ancora a rischio di recessione anche se la moneta unica è intatta. A suo avviso, tre ingredienti rendono la situazione precaria: i tassi di disoccupazione in Spagna, Italia e Portogallo sono altissimi, soprattutto tra i giovani; investimenti, mutui e prestiti a imprese rimangono a livelli anemici; e i consumatori non sembrano volere, o potere, spendere.

A guardar bene, anche la situazione geopolitica non è granché. Magari il Medio Oriente non esplode ma l’Asia sta dando nuovi grattacapi. Il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha scioccato il Wef quando ha detto che le relazioni tra Tokyo e Pechino ricordano la tensione tra la Germania e la Gran Bretagna alla vigilia della prima guerra mondiale. E anche se un conflitto tra Cina e Giappone è impensabile, le schermaglie tra i due Paesi destabilizzano una regione che ha tante altre ferite aperte dalla Corea del Nord a Taiwan.

Persino i mercati non sono più una strada a senso unico. Dopo essere cresciute di più del 30% l’anno scorso, le azioni americane hanno iniziato il 2014 come la mia Inter: facendo fatica a vincere. E proprio mentre i grilli parlanti del Wef lodavano la stabilità del mondo finanziario, i mercati emergenti sono crollati, spinti da una nuova crisi monetaria ed economica nella recidiva Argentina.

La nebbia che mi ha accompagnato nella mia discesa dalle Alpi sabato è un’ottima metafora per il momento attuale. Potremmo essere all’inizio di un periodo di crisi o all’inizio della sua fine, ma la visibilità è limitata. Viste le condizioni è prudente uscire dal mucchio e scendere dalla nuvoletta di Davos. Anche se c’è il rischio di scivolare.

Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal a New York.

La Stampa 27.01.14