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“Niente politica, solo protesta. E il M5S va in crisi di consensi”, di Carlo Buttaroni

Non è la prima volta. E c’è da scommetterci che non sarà neanche l’ultima. Gli episodi (gravi) di cui si sono resi protagonisti i parlamentari cinquestelle sono solo l’ennesimo riflesso di quel sentimento che Giovanni Sartori ha definito «liquidismo». Rimuovere, cioè, senza avere nulla da offrire, nessun riscatto, nessun annuncio. Solo risentimento.
Un processo dove scompaiono le idee e la capacità di progettare il futuro, mentre prevalgono gli insulti, la delegittimazione, le insinuazioni. Occupando quel territorio grigio al confine fra politica e farsa.
L’OSTILITÀ VERSO LE ISTITUZIONI
L’Italia ha, in passato, vissuto fenomeni simili. Come negli anni del dopoguerra, con l’Uomo Qualunque di Giannini. Anche allora il qualunquismo, come il liquidismo oggi, anziché un insulto sembrava una virtù. Quasi fosse un istinto incastonato nel Dna del nostro Paese, latente fino a quando circostanze particolari lo fanno riemergere, nutrendosi dei problemi irrisolti e degli stati d’animo più deleteri.
Un sentimento che si afferma e si diffonde perché il problema è in quel nichilismo tenue che porta a preferire il nulla anziché il cambiamento e che si trasforma in protesta cieca, senza prospettive e direzioni, favorendo forme di apatia, quando non di vera e propria ostilità, verso le stesse istituzioni democratiche.
Il Movimento Cinque Stelle interpreta questo sentimento, tradendo però quel desiderio di riforme che lo anima nel profondo, quasi che ogni cambiamento fosse impossibile o, peggio, inutile. La base elettorale di Grillo è una sorta di astensionismo che si esprime nelle urne. È la rottura di un invaso sociale che si riversa con forza distruttrice sulle istituzioni. E se nel desiderio di cambiamento che alimenta il consenso al Movimento Cinque Stelle c’è più politica di quanto possa apparire a prima vista, nel canale verso cui confluisce il risentimento di molti italiani c’è assai meno politica di quanto Grillo si sforzi di far apparire.
Il cortocircuito tra politica e «non-politica» si riflette in una geografia del consenso che non si deposita in alcun aggregato sociale e politico definitivo. I pentastellati non hanno uno zoccolo duro corrispondente ai consensi provvisori che raccolgono. Anche per questo, alle amministrative hanno
sempre ottenuto risultati inferiori alle attese.
Alle politiche dello scorso febbraio il risultato delle urne è stato alimentato da elettori delusi sia del centrosinistra che del centrodestra e, in quota minore, da quanti non avevano votato alle precedenti elezioni. Nel corso dei mesi successivi alle elezioni, una quota consistente di quanti avevano votato il movimento sono tornati nel proprio campo, altri invece hanno seguito il percorso opposto, orientandosi verso i pentastellati. Il saldo pressoché «a zero» registrato in questi mesi dagli istituti di ricerca, non rileva compiutamente questo continuo cambiamento della base elettorale e il consistente numero di elettori borderline che fluttuano tra le due principali coalizioni e il Movimento di Grillo. Anche per questo continua a essere difficile fare una stima dei consensi del Movimento Cinque Stelle, perché è una risultante provvisoria, legata al momento e alle circostanze. Matteo Renzi, appena eletto segretario del Partito democratico si è rivolto al Movimento Cinque Stelle. E più che ai parlamentari o a Grillo, il suo appello è stato a quelle masse di elettori accomunati dal desiderio di cambiare e dal rifiuto nei confronti di una politica immobile di fronte alle sfide che aveva davanti. Grillo ne ha pagato immediatamente un prezzo in termini di consensi. Renzi e il nuovo Pd, così come Berlusconi e la neonata Forza Italia, stanno sfidando Grillo sul terreno per lui più difficile, quello delle scelte, delle regole, delle cose da fare subito. Perché, alla fine, il deficit non riguarda la domanda, ma l’offerta di politica. E la risposta al «liquidismo» di Grillo non può essere altra che quella di far tornare la politica alla responsabilità delle scelte.

PENSARE DAL BASSO
D’altronde ciò che si chiede alla politica è attenzione e sensibilità rispetto alla vita reale, insieme a un maggiore coinvolgimento nella progettazione e nella gestione delle politiche pubbliche. E questo è l’obiettivo che il sistema politico deve porsi anche per frenare l’erosione della partecipazione e per trasformare un’azione, come quella del voto, in partecipazione piena e consapevole. Per farlo la politica deve tornare a pensare dal basso perché, per quanto paradossale possa sembrare, le grandi sfide trovano risposte soltanto in un sistema diffuso di governo della società. Un terreno sul quale il Movimento Cinque Stelle mostra tutte le sue difficoltà. Su questo le riforme istituzionali, comprese quelle elettorali, possono fare molto, ma non sono sufficienti se non s’innestano positivamente con una cultura capace di recuperare una dimensione partecipativa diffusa che in realtà non si è indebolita, ma ha soltanto cambiato forma e nome.

Da L’Unità