economia

"Super Bowl Italia", di Massimo Gramellini

Per qualcuno questo Buongiorno suonerà aziendalista, nazionalista e addirittura campanilista. Ma che la notte scorsa centotredici milioni di americani inchiodati con birra e patatine davanti ai televisori per il Super Bowl abbiano visto per la prima volta, in mezzo ai soliti marchi dell’economia globale, una bella cosa progettata e costruita in Italia, in uno stabilimento della mia Torino dove ancora due anni fa si produceva soltanto polvere, rappresenta un discreto contributo all’autostima. Lo spot della signora Maserati (di cui parliamo qui) avrà colpito gli americani per il messaggio: i nemici sono più grandi e più forti, ma «noi» pensiamo a lavorare sodo, fidandoci dei nostri istinti, e al momento giusto usciamo dall’ombra e attacchiamo. Agli italiani, che venti secoli di cinismo hanno reso in parte impermeabili a queste scariche di adrenalina, se non il messaggio dovrebbe interessare almeno il massaggio: al nostro orgoglio, fiaccato dalle delusioni, e alla nostra intelligenza, svilita dalle ingiustizie.

Per quanto il pregiudizio non sempre corrisponda ancora al vero, nel mondo l’Italia continua a essere percepita come lo scrigno della Grande Bellezza. Una sorta di detentrice della formula magica del buon gusto e del buon vivere, che quando si rivela all’altezza della sua fama viene ricompensata dal successo. Così anche uno spot può aiutarci a ricordare che la nostra salvezza coincide con il nostro destino: dalla crisi non si esce facendo, magari persino meglio, le cose che fanno anche gli altri. Dalla crisi si esce facendo, al meglio possibile, le cose che sappiamo fare soltanto noi.

da La Stampa