economia, partito democratico

"Austerity, dov’è finita la sinistra europea?", di Massimo D’Antoni

Quello del presidente Napolitano al Parlamento Europeo è stato un grido in cui è impossibile non riconoscersi. Almeno per chi ancora crede al significato storico del progetto europeo, e quindi vede concreto il rischio della sua dissoluzione, sotto i colpi pesanti della crisi economica e del crescere di forze che su tale disgregazione scommettono. Erano soltanto due anni fa quando una parte importante dei politici, dei commentatori più influenti e degli addetti ai lavori insisteva sui nostri «compiti a casa».
Sostenendo che rassicurando i mercati finanziari con tagli alla spesa e privatizzazioni l’economia sarebbe ripartita e i rischi per l’euro sarebbero svaniti.
In questo inizio di 2014 prevale la consapevolezza che la strada dell’austerità – o, nelle parole del Presidente, «dell’austerità ad ogni costo» – non è la soluzione, ma può anzi innescare un vero e proprio circolo vizioso «tra politiche restrittive nel campo della finanza pubblica e arretramento delle economie europee». Sulle pagine di questo giornale in molti lo abbiamo detto e ripetuto fin dall’aggravarsi della crisi nel 2011. Non tanto la capacità di persuasione dei nostri argomenti, quanto il protrarsi e l’acuirsi della crisi sociale ed economica, ha consolidato la convinzione, ormai trasversale alle forze politiche, che su questa strada non si possa continuare a lungo.
Occorre tuttavia evitare l’illusione che tale consapevolezza sia ugualmente diffusa in tutto il continente; peccheremmo di ottimismo se pensassimo che le affermazioni del presidente Napolitano, applaudite dalla platea dei parlamentari europei, possono trovare facilmente riscontro nell’azione politica della cancellerie europee.
Purtroppo, mai come in questo momento il sentimento degli europei è diviso in base alla geografia. Se i populismi crescono un po’ ovunque, essi assumono per lo più la forma di un ripiegamento nazionalistico. Nei Paesi dell’area tedesca, in cui la crisi si è manifestata in modo molto meno acuto che da noi, il ritardo nella ripresa è attribuito non già alla mancanza di una risposta politica adeguata a livello di eurozona, ma alla scarsa determinazione con cui i Paesi della periferia stanno attuando le politiche di riforma strutturale. La crisi del 2008 non è interpretata per quello che è, cioè l’esito di squilibri dovuti in larga parte ad un difetto nell’architettura dell’euro ma, contro ogni evidenza, come una conseguenza della dissipatezza dei Paesi più colpiti. Né mancano, tra i sostenitori della linea di austerità, coloro che ritengono che quegli squilibri si stiano riassorbendo in modo autonomo, e che quindi le politiche adottate stiano infine funzionando.
Il presidente Napolitano invoca un rilancio e una svolta nel segno della solidarietà. Ma gli stessi dirigenti della Spd e degli altri partiti socialisti dei Paesi dell’area tedesca, anche quelli più accorti, se messi alle strette vi spiegheranno che chiedere ai loro elettori di farsi carico della crisi di italiani e spagnoli comporterebbe un prezzo politico elevato. Forte è la sensazione che non solo manchino le basi di quella solidarietà che sola può sostenere il progetto di completamento dell’Unione, ma che sia debole anche la consapevolezza della profonda interdipendenza tra i Paesi europei, del fatto che ormai si sopravvive o si cade insieme.
È per queste ragioni che è particolarmente importante il passaggio che ci attende. È per questo, in particolare, che è necessario incoraggiare il rafforzamento dei legami tra partiti appartenenti alla famiglia socialista e democratica. Lo è nonostante le evidenti difficoltà: nonostante il fatto che la ricerca di un consenso ampio tra le diverse sensibilità dei partiti socialisti nazionali stia determinando, nella piattaforma del candidato Martin Schulz, posizioni obiettivamente poco incisive sul versante economico; nonostante la sconcertante scelta del presidente Hollande, di puntare all’interno sulle politiche di offerta, tradizionale cavallo di battaglia dei conservatori, e all’esterno sul rafforzamento dell’asse privilegiato tra Parigi e Berlino, rinunciando a farsi alfiere di un cambio di rotta nelle politiche europee. In questo contesto diventa cruciale infatti il ruolo della sinistra italiana nel farsi interprete presso i partner del disagio di una parte così importante dell’Europa e nel sollecitare un cambiamento.
Il Pd non può permettersi di mancare a questo appuntamento, ed è importante che in vista del semestre europeo il governo abbia il pieno sostegno del principale partito della maggioranza. Il presidente Napolitano ha dato un segnale chiaro e incisivo. Sta al presidente Letta per un verso e al segretario Renzi per l’altro essere all’altezza delle attese.

da L’Unità

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“Grecia da record: di miseria”, di carla Reschia

Il 65% degli anziani soffre la fame. Tornano malattie scomparse come la tubercolosi e la malaria, i suicidi aumentano del 40%. La corruzione “percepita” è al 99% e oltre la metà dei giovani non ha lavoro

E’ una Grecia da record quella che si appresta a ricevere dall’Unione Europea un terzo pacchetto di aiuti del valore di 10-20 miliardi di euro per coprire le esigenze finanziarie fino al 2015. Record sconfortanti. Come quello della corruzione percepita, il più alto in assoluto (ma l’Italia è seconda) con il 99% dei greci convinto che la corruzione politica e i guadagni illeciti siano fenomeni molto diffusi contro una media europea del 76%. E se in tutta l’Ue, il 73% degli interpellati ha ammesso che corrompere e utilizzare le proprie conoscenze sono i modi più semplici per ottenere un servizio, in Grecia la percentuale raggiunge il 93%.
Ma ci sono altri dati anche più terribili perché legati alla pura sopravvivenza quotidiana. Il record, secondo un sondaggio, degli anziani che sofforno la fame, il 65%. Un dato quasi incredibile per un paese europeo, con il 62% che non ha i mezzi per nutrirsi in maniera adeguata e il 32% che ha dovuto ridurre la quantità di cibo, accontentandosi di porzioni più piccole e scadenti, secondo i responsabili del programma di aiuti alimentari gestito dalla ong greca “Linea di vita”. Una situazione che va, ovviamente, a incidere non solo sullo stile di vita ma anche sulla salute fisica e psichica: il 17% dei partecipanti al programma di assistenza ha infatti ammesso di soffrire sempre più spesso di depressione e di attacchi di panico.
E non sono solo anziani: secondo le associazioni di volontariato ogni giorno circa 14 mila persone, non immigrati, ma per lo più greci che hanno perso il lavoro, ricorrono alle mense per i poveri per rimediare un pasto, tanto che nelle città maggiori, ad Atene e a Salonicco, le associazioni che prestano assistenza medica forniscono anche generi di prima necessità perché il problema, spesso, è la malnutrizione.

E in tema di sanità, i dati sono disastrosi. Dal 2009 il budget per la sanità è stato ridotto del 40% e sono stati licenziati 26 mila dipendenti, di cui 9.100 sono medici. Questo, tuttavia, non è bastato a far quadre i conti: ogni mese il deficit della sanità greca cresce di 100 milioni di euro e negli ospedali statali manca tutto: strumenti di lavoro, farmaci e cibo. Caso limite ma emblematico quello dell’ospedale “Metaxàs” del Pireo, dove a Patologia ci sono 54 posti letto sempre pieni e solo due infermieri per turno. Per contro, anche grazie all’introduzione di costosi ticket per i ricoveri, un ricovero di tre giorni può costare fino a mille euro. Il risultato, secondo un’indagine di Médecins du Monde, è che il 27,7% della popolazione non ha più acceso ai servizi sanitari, sia come conseguenza dei tagli al settore sia per la mancanza di disponibilità finanziaria. E quindi, bambini senza vaccinazioni (che costano tra i 140 e i 180 euro), vecchi senza medicinali, donne incinte che non possono ricevere l’assistenza rotuniaria di esami e visite perché non sono in grado di pagarla. E record di morti premature: sempre secondo Médecins du Monde dall’inizio della crisi il numero delle morti infantili è cresciuto nel paese del 21%. Gli adulti non stanno meglio, cresce il numero delle malattie che vengono diagnosticate, e curate, in tempo: c’è chi rimanda controlli ed esami, chi rinuncia persino alla chemioterapia perché è troppo cara. Tanto che ormai, i dati arrivano ancora da Médecins du Monde, molti medici greci che si erano recati nei Paesi dell’Africa per aiutare le popolazioni più sfortunate stanno tornando perché il loro aiuto serve in patria. Dove aumentano le malattie “della povertà”: tubercolosi, malaria, epatite e infezioni da Hiv ed è in forte ascesa (più 40%) anche il numero dei suicidi.
C’è in fine il dato sconfortante della mancanza di lavoro che, secondo la Confederazione greca del Commercio, colpisce duramente i giovani nella fascia di età dai 15 ai 24 anni con un tasso del 57.2% contro quella globale del 24.6%. Colpa, anche, del collasso del settore privato che, prima della crisi impiegava 2 milioni e 800mila persone, oggi ridotte a nemmeno la metà. Per stipendi che in due casi su dieci non arivano a 500 euro al mese e part time fittizi che possono arrivare anche a 36 ore la settimana.
da www.lastampa.it