attualità, politica italiana

"La difesa delle istituzioni", di Gianluigi Pellegrino

LA PRIMA cosa da tenere ben presente è che la ributtante compravendita di senatori per fare cadere un legittimo governo repubblicano, è stata persino confessata da uno dei diretti protagonisti. Quindi tutto si può dire, fuorché che il processo a Berlusconi non sia assolutamente dovuto per l’accertamento definitivo della verità nel giusto contraddittorio tra le parti.
Già solo per questo la scelta compiuta ieri da Pietro Grasso era doverosa. Come tale non meno apprezzabile, ma sicuramente doverosa. Il Presidente del Senato si è semplicemente comportato come un buon padre di famiglia. Chiunque a capo di un’associazione, di un’azienda, in generale di un corpo sociale avrebbe fatto lo stesso. Se la magistratura che su quel confessato verminaio ha dovuto aprire il processo, ha indicato nel Senato l’istituzione offesa, notificando al Presidente il rinvio a giudizio di Berlusconi per la costituzione entro la prossima udienza come poteva Grasso fare scelta diversa? Non decideva per sé ma per l’istituzione che rappresenta. A quale titolo Grasso poteva rifiutare di tutelarla? Peraltro mentre il rifiuto sarebbe stato definitivo, ora sarà il prosieguo del giudizio a stabilire nel pieno contraddittorio la sussistenza effettiva a carico del Senato di un pregiudizio quanto meno di immagine e di decoro. Che per la verità appare scontato a qualsiasi persona di buon senso. Giusto anche l’aver disatteso il parere tutto politico degli esponenti dei partiti che compongono l’ufficio di presidenza e che per fortuna le norme qualificano come non vincolante. Davvero singolare che i voti decisivi sul punto fossero venuti da una forza che pur nel simbolo si qualifica come “civica”.
L’atto dovuto infatti si salda con l’imperativo morale che lo stesso Grasso ha voluto sottolineare. Al di là persino dei presupposti giuridici e dell’esito che avrà il processo, il Senato svolta dal vergognoso quanto grottesco voto per la “nipote di Mubarack” ad un scatto di pur elementare orgoglio civico e istituzionale, necessario in un paese sempre fragile e poroso su questo fronte. E qui salutiamo finalmente un respiro, appunto, di senso civico, un messaggio educativo forte e chiaro che da tempo si attendeva.
Certo adesso l’ineludibile resa dei conti del cavaliere non solo con la giustizia ma con le istituzioni e il loro decoro che ha in questi anni ripetutamente calpestato, rendono plastico anche quanto alta e rischiosa sia la scommessa intrapresa da Matteo Renzi, che pur in una stretta obbligata, con Berlusconi ha aperto il tavolo delle riforme. Al di là ora della facile ironia che attribuirà al cavaliere un motivo in più proprio per abolire il Senato, è evidente come si viaggi su un sentiero strettissimo tanto coraggioso quanto in costante pericolo di frana. Una ragione in più per dire quanto diventi essenziale non solo percorrerlo, ma anche avere come unica bussola di merito l’inequivoco interesse del paese.

da la Repubblica 6.2.14

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“Il Senato contro Berlusconi”, di Claudia Fusani

La scelta di Grasso: parte civile nel processo sulla compravendita dei senatori. «È un dovere morale»
«Atto istituzionale non politico». E poi Pd, M5S, Sel sono maggioranza. L’ufficio di presidenza aveva espresso parere negativo. Il Cav furioso minaccia di far saltare le riforme

«È un dovere morale»: così il presidente Piero Grasso motiva la decisione di far costituire il Senato come parte civile contro Silvio Berlusconi nell’ambito del processo sulla compravendita dei senatori. L’ufficio di presidenza aveva espresso parere negativo con i voti dei rappresentanti di Fi, Ncd e centristi. Furibonda reazione di Forza Italia col solito repertorio su giudici e sinistra.
Ha deciso in scienza e coscienza. Anche se contro la maggioranza dei pareri dei senatori. Con coraggio e consapevole che la sua potrebbe essere una scelta che fa saltare il banco della politica e il delicato equilibrio raggiunto sulle riforme. Ma la ragion di stato non può soffocare la dignità delle istituzioni e del mandato degli elettori. Il comunicato dello staff del presidente del Senato Pietro Grasso arriva alle 19 e 30: il Senato sarà parte civile nel processo sulla compravendita dei senatori che comincia martedì (11) a Napoli. Lo aveva chiesto il gip mesi fa quando ha notificato a palazzo Madama la citazione come parte offesa nel dibattimento che vede imputati il faccendiere ex giornalista Valter Lavitola e Silvio Berlusconi. Un terzo imputato, reo confesso, l’ex senatore Sergio De Gregorio ha già patteggiato la pena di 20 mesi. L’accusa per tutti è corruzione: nel biennio 2007-2008 il Cavaliere pianificò l’operazione Libertà e dette mandato a De Gregorio, eletto nell’Idv di Antonio Di Pietro (anche loro parte offesa e parte civile) di passare in Forza Italia e di convincere altri senatori indecisi. De Gregorio fu pagato tre milioni di euro. Altre offerte economiche (il senatore Caforio, Idv) furono respinte. Ma in un modo o nell’altro il governo Prodi cadde a fine gennaio 2008.
«Dopo aver ascoltato i diversi orientamenti espressi dai componenti del Consiglio di presidenza – si legge nel comunicato diffuso da palazzo Madama – il presidente Grasso ha dato incarico all’avvocatura dello Stato di rappresentare il Senato della Repubblica quale parte civile nel processo sulla cosiddetta compravendita di senatori». Il presidente, continua il comunicato, «ha ritenuto che l’identificazione, prima da parte del pm dell’accusa poi del giudice delle indagini preliminari, del Senato della Repubblica quale persona offesa di fatti asseritamente avvenuti all’interno del Senato, e comunque relativi alla dignità dell’Istituzione, ponga un ineludibile dovere morale di partecipazione all’accertamento della verità, in base alle regole processuali e seguendo il naturale andamento del dibattimento ».
Una decisione che è dunque un atto «istituzionale e non politico». Che muove dalla necessità «ineludibile», si spiega a palazzo Madama, di «seguire l’iter processuale del dibattimento per capire quanto sia coinvolto ed eventualmente quanto sia stata danneggiata l’istituzione dal mercimonio di incarichi pubblici di cui parla l’inchiesta». Nessun pregiudizio. Una serie di prove, invece, che hanno già superato l’esame di un giudice e sono già state fondamento di una sentenza.
Il tempo di battere la notizia e scoppia il delirio nelle file del centro destra che accusa Grasso di aver deciso contro il volere della maggioranza dei senatori. «Una decisione gravissima» grida Gasparri. «Ci ha calpestati» rincara Capezzone. Berlusconi affila la rabbia. E medita vendette. Il suo pensiero sul caso era stato veicolato nei giorni scorsi: «Se questa cosa va avanti, se ancora una volta il Pd mi vuole umiliare dando credito all’accusa falsa che io avrei dato soldi a De Gregorio per reclutare senatori della parte avversa e far cadere il governo Prodi; beh, se tutto questo accade io faccio saltare accordi, patti, riforme, tutti a votare e chissenefrega». Merita solo ricordare, per dirne una, come l’11 febbraio sia non solo il giorno dell’avvio del processo ma anche quello in cui l’aula della Camera comincerà le votazioni sulla legge elettorale. Un tavolo che adesso può saltare da un momento all’altro. «Se solo la Boldrini (presidente della Camera, ndr) non avesse ritardato la discussione di una settimana adesso non saremmo nel mezzo di questo intreccio».
Il Tribunale di Napoli aveva notificato prima di Natale la citazione a palazzo Madama come parte offesa nel processo. Di Pietro e l’Idv lo hanno già fatto nell’udienza preliminare. Il Senato aveva rinviato: quella sì sarebbe stata una scelta politica. Il tempo scade nella prima udienza. Ieri Grasso ha riunito l’Ufficio di presidenza confidando in un mandato chiarificatore da parte delle forze politiche, 18 senatori, sulla carta 11 favorevoli (5 Pd, 2 Scelta civica, 1 Sel, 3 M5S), 7 contrari (Fi, Ncd, Gal, Lega). Magli schieramenti sono saltati e ben 10 senatori hanno spiegato di essere contrari alla richiesta. A quelli previsti si sono infatti aggiunti Linda Lanzillotta, montiana osservatrice attenta delle mosse di Renzi e già decisiva ai tempi della richiesta di voto segreto per la decadenza di Berlusconi da senatore; il senatore-questore Antonio De Poli, Udc e fedelissimo di Casini che proprio tre giorni fa è tornato da Silvio – che lo aveva mollato nel 2008 – mettendo da parte idee, umiliazioni e tanti paroloni. Quella di De Poli è stata, si può dire, la prima prova d’amore tra Silvio e Pierferdy.
Solo otto sono stati quelli favorevoli: Sel, M5S e il Pd compatto convinto della «gravità della accuse» e del «danno di funzionalità» (Di Giorgi), subito dall’istituzione. Grasso non ha messo la decisione in votazione, ha chiesto «un orientamento ». Nulla di vincolante, quindi. Solo un gesto di cortesia. E comunque, se fosse stato un voto, si ragiona negli uffici della presidenza, «Pd, Sel e M5S rappresentano la maggioranza dell’assemblea ».

da L’Unità