attualità, politica italiana

Grasso: «Così difendo la dignità del Senato», di Claudia Fusani

Il presidente di Palazzo Madama spiega la decisione riguardante Berlusconi: «Non sono un vigliacco. Da me nessuna persecuzione». I parlamentari di Fi abbandonano l’aula urlando «vergogna» e chiedendo le dimissioni

«Non sono un vigliacco, difendo la dignità del Senato perché mai nella storia della Repubblica e di questa istituzione è capitato di dover leggere nell’atto di citazione di un giudice che qui, in quest’aula, in queste stanze, in determinate sedute ci sono stati atti di mercimonio del mandato parlamentare». Il presidente del Senato prende posto nel suo scranno alle 11 e 30 di ieri mattina e avvia una requisitoria, che è anche l’arringa di se stesso, che mai avrebbe immaginato di dover pronunciare. Tra qualche fischio e molti applausi, Piero Grasso, che in oltre trent’anni di magistratura ha vissuto processi e interrogatori ben più duri, spiega con la sua faccia e massima calma le ragioni di una scelta che «non è una condanna e meno che mai una persecuzione» verso una parte politica e il suo leader Silvio Berlusconi bensì l’unico modo «per non castrare la dignità di questa assemblea» violata da chi è accusato di aver agito e aver trattato il mandato parlamentare come il cartellino di un calciatore in vendita.
Non doveva essere in aula ieri mattina il presidente Grasso stretto in un’agenda già fitta di impegni tra convegni e visite di Stato. Ma tutto il centro destra compatto, nel primo rinnovato atto d’amore figlio della nuova legge elettorale che vede insieme Fi, Ncd, centristi e Udc, Lega, Gal e Fdi, ha cominciato la giornata chiedendo le sue dimissioni in risposta alla decisione di costituire il Senato parte civile nel processo di Napoli (inizio martedì 11) sulla compravendita dei senatori. Berlusconi e Lavitola sono accusati di corruzione. «Se lo fanno, faccio saltare il banco» aveva minacciato Berlusconi. Ma il banco, a fine giornata, non salta. Il Cavaliere, certamente furioso, ha fatto sfogare i suoi spiegando però che si tratta dell’ennesima provocazione per causare un fallo di reazione. Trappola in cui non vuole cadere perché ora ha un obiettivo solo e troppo ghiotto: approvare il prima possibile la legge elettorale che tra uno sbarramento e l’altro, un recupero e qualche ritorno, lo vede in testa in molti sondaggi.
Ma ieri mattina il clima era pesante assai. I titoli dei giornali, il sospetto che la decisione fosse «un colpo inferto all’asse Berlusconi-Renzi», le reazioni pesanti già dalla sera prima. L’aula del Senato è convocata alle 10. Grasso non c’è. I senatori azzurri lo attaccano. Casellati e Biancofiore chiedono le dimissioni. Gasparri lo sfida: «Venga in aula ». Il presidente è nel suo studio, ascolta gli interventi, decide di cancellare gli impegni e si presenta in aula. Dai banchi del centrosinistra si alzano applausi. Da quelli del centrodestra qualche fischio e provocazione. Quella di Alessandra Mussolini, ad esempio: «Caro presidente, lei ha una cosa di paglia lunga da qui al Quirinale» alludendo a una decisione suggerita in altre stanze. «La sua è una moralità ad orologeria» urla il pur mite Malan.
Decisamente troppo per il paziente presidente del Senato. E con la calma di uno che deve nuovamente spiegare cose che dovrebbero essere acquisite, inizia il suo intervento. A braccio. Con calma. Un professore che spiega l’A-B-C delle regole istituzionali.
Sono molte le accuse da smontare. La prima, quella di aver deciso in contrasto all’orientamento dell’ufficio di presidenza che mercoledì pomeriggio si era espresso con 10 voti contrari e 8 favorevoli (Pd-Sel-M5S). «Dopo un lungo travaglio – comincia – ho ritenuto di rappresentare il Senato come recita l’articolo 8 del nostro regolamento per difenderne la dignità e l’immagine nel momento in cui qualcuno ritiene che il Senato possa essere considerato una parte offesa, quindi lesa». È vero, l’ufficio di presidenza si era espresso in modo contrario ma «quando ho parlato di dovere morale, da parte mia, non ho inteso offendere in alcun modo nessuno. Né ho voluto mettere in risalto la presunta immoralità di chi non era d’accordo con me».
Cercando di interromperlo, gli urlano che «non riesce a non fare il pm», che «non c’era alcuna necessità» e che «mai nella storia della Repubblica era accaduta una cosa del genere». E allora, non il pm («qui non c’entra nulla il mio passato») ma l’uomo di legge, spiega che «mai prima d’ora era accaduto» perché «mai prima d’ora era capitato che qualcuno accusasse dei senatori di aver cercato di comprare il voto di altri senatori». Non è mai successo, che «ci fossero stati dei senatori, anzi ex senatori per fortuna, che hanno fatto certe cose ». Il Presidente allude a Sergio De Gregorio (ex senatore, reo confesso di aver preso 3 milioni per l’Operazione Libertà, cioè affondare il governo Prodi nel 2008 e già condannato a 20 mesi per corruzione). Ma non riesce a finire la frase, è sommerso dai fischi di chi crede che quell’ex senatore sia Berlusconi. «Fatemi finire, mi riferisco a De Gregorio…» precisa Grasso. I senatori di Fi e Gal sono già fuori dall’aula gridando «Vergogna», «dimettiti».
Essere parte civile nel processo non alcun senso «persecutorio»: «La mia decisione non è antiberlusconismo». Bensì il diritto dello Stato, di cui il Senato fa parte, di seguire «l’iter del processo e capire se e fino a che punto è stata lesa la sua integrità e dignità». Grasso è convinto di aver fatto «come sempre nella mia vita, il mio dovere super partes. Se proprio volete, la decisione si può anche revocare». Servono però l’unanimità. E la maggioranza numerica dell’aula ha voluto, invece, tutelarsi partecipando a quel processo. E nessuno avrebbe dovuto avere dubbi in proposito.

da l’Unità 7.2.14

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Grasso respinge le accuse di Forza Italia: “Toni molto aggressivi, ma la legge elettorale si farà”. “Ero super partes prima, lo sono ora tutelo la dignità delle istituzioni”, intervista di Liana Milella

ROMA — Lo rifarebbe? «Certo». È pentito? «No». Decisione tecnica o politica? «Istituzionale». Ora che accadrà della riforma elettorale? «Andrà avanti». Pietro Grasso parla mentre la sua auto sfreccia verso l’aeroporto dove l’attende un volo per la Tunisia. Dice: «Come si potrebbe non seguire un processo del genere? È doveroso e necessario». E ancora: «Revocare la costituzione? Io non ne vedo il motivo».
La giornata peggiore dall’inizio del suo mandato?
«Assolutamente no, ce ne sono state altre. Per me le peggiori sono tutte quelle in cui non si riesce a fare nulla di concreto per risolvere i problemi dei cittadini, che sono molti e gravi».
I berlusconiani la rimproverano di non aver mai smesso la toga… È un’offesa?
«Intanto ho cambiato funzione, mi sono dimesso dalla magistratura e so ben distinguere la differenza dei ruoli. Ciò detto, l’aver mantenuto la capacità di essere autonomo, indipendente e super partes non mi costa fatica, è quello che ho fatto per 43 anni da magistrato, e credo che questi valori possano essere utili anche alla politica».
Fazioso, persecutorio, perfino cattivo, grida Forza Italia. L’aveva messo nel conto?
«Avevo previsto una comprensibile reazione, ma non questi toni così aggressivi».
Le rivolgono un’accusa grave per un presidente, di non rappresentare tutti…
«In questa situazione le parti erano divise: ho ascoltato tutti e deciso autonomamente, con grande senso di responsabilità».
Dicono che dietro di lei c’è Napolitano. Gli ha parlato?
«Alla fine del consiglio di presidenza, con una battuta, ho comunicato che “mi sarei ritirato in camera di consiglio per deliberare”, e così ho fatto. Non ho seguito le agenzie ne avuto contatti con alcuno prima della decisione».
«Sono coerente con la mia storia», dice lei. Ma la coerenza da magistrato non cozza con il Grasso ormai politico del Pd che deve farsi carico delle riforme? Non rischia di rompere il feeling Renzi-Berlusconi?
«Come presidente ho anteposto la difesa della dignità e dell’immagine dell’istituzione che rappresento. Sono convinto che questa dovrebbe essere la normalità e che non dovrebbe inficiare in alcun modo la spinta riformatrice condivisa dalle forzepolitiche».
Ne ha parlato con Renzi?
«Ho deciso da solo».
Ha chiamato prima Berlusconi?
«Ho chiamato tutti i capigruppo 48 ore prima del consiglio di presidenza, in modo da dare a tutti la possibilità di valutare laportata politica del tema e di condividere con i propri rappresentanti ogni valutazione in vista della riunione».
Il merito della decisione. È giusto che il presidente del Senato si assuma da solo la responsabilità?
«Fa parte del ruolo, ed è stato unanimemente riconosciuto anche durante l’acceso dibattito inaula. Al contrario di quanto mi viene contestato io non ho voluto umiliare il consiglio di presidenza, piuttosto valorizzarlo, chiedendo a ciascuno le proprie argomentazioni. Non c’è stata una richiesta di parere, e non si è arrivati a nessun voto. Questo era chiaro a tutti. Prima della riunione ero aperto a ogni soluzione. Ho fatto tesoro delle argomentazioni di tutti, poi ho deciso».
Decisione tecnica o politica? C’erano gli estremi per non costituire parte civile il Senato?
«La costituzione di parte civile è una facoltà. Mi sono convinto che essere presenti al processo tramite l’Avvocatura era non solo doveroso, ma necessario. Non ho trascurato che vengono citate nel capo d’imputazione sedute specifiche del Senato nel corso delle quali si sarebbero commessi i fatti e che alcuni senatori sono chiamati come testimoni. Come si potrebbe non seguire un processo del genere? Circa l’effettiva qualità di persona offesa del Senato sarà il tribunale a decidere sull’ammissibilità».
Non c’erano precedenti, dicono i suoi detrattori…
«È vero, ma non c’erano nemmeno precedenti di un processo in cui degli imputati venivano tratti a giudizio per la compravendita di senatori e per aver alterato il rapporto di rappresentatività tra parlamentari ed elettori».
In aula ha detto che la costituzione si può revocare. Lo pensa davvero?
«Se non ci fossimo costituiti parte civile entro l’11 febbraio non avremmo più potuto farlo, ma si può revocare in ogni momento. Io non ne vedo il motivo, per me rimane ferma la necessità di seguire l’iter processuale e l’accertamento di una verità che riguarda il Senato come istituzione».
Dicono che parlando di «dovere morale» lei abbia qualificato come immorali coloro che non erano d’accordo…
«Non ho inteso in alcun modo tacciare di immoralità chi si è espresso contro la costituzione. Si è trattato solo di una mia personale e ulteriore motivazione rispetto a quelle giuridico-politiche prospettate nella riunione».
Per chi era la battuta «senatore, ex per fortuna»?
«Non era una battuta: era una constatazione sull’ex senatore De Gregorio, che ha ammesso di aver venduto il proprio voto per denaro. Si può restare indifferenti ed estranei a tutto questo?».
Prima la decadenza di Berlusconi, ora la costituzione. I suoi detrattori dicono che è più antiberlusconiano ora di quando era magistrato…
«Non ho mai avuto sentimenti persecutori contro nessuno. Ricordo la pioggia di critiche per aver riconosciuto i meriti di alcuni ministri di un suo governo, a riprova che ho sempre affrontato con obiettività i temi che riguardavano lui come chiunque altro. Spero che si ritorni presto alla normalità e alla tranquillità nei rapporti tra i senatori e il loro presidente. Sono sempre stato e resto sopra le parti in questo ruolo istituzionale, sereno per la decisione che ho preso e che avrei preso nei confronti di chiunque».

da la Repubblica