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"Il potere perduto dell’Europa", di Gianni Riotta

La diplomatica americana Victoria Nuland è nata nel 1961, ed aveva così solo tre anni quando, il 7 febbraio di 50 anni fa, i Beatles atterrarono nella sua città, New York, per suonare due giorni dopo, 9 febbraio, al leggendario Ed Sullivan Show televisivo. La Nuland è diventata famosa, già lo registra la sua pagina Wikipedia, per avere detto senza troppi riguardi «Si f… l’Unione Europea», liquidando con un «fuck the Eu» gli storici alleati a proposito della crisi in Ucraina.

Come cambia il mondo in mezzo secolo. Nel febbraio 1964, l’America ancora sotto choc per l’assassinio di John Kennedy, vede arrivare con gioia la band inglese, invitata dal presentatore Ed Sullivan. Due volte bloccato in aeroporto dalle fans di John, Paul, Ringo e George, Sullivan tratta con il loro manager, Epstein, una tournée tv in America. Siglano stringendosi la mano un contratto per 10.000 dollari, allora il salario medio annuo americano era 6000 dollari.

Le tre serate fanno la storia della tv, in sala solo 700 posti, l’ex vicepresidente Nixon invoca un biglietto per la figlia, il compositore Bernstein – ricorda il sito dell’Ed Sullivan Show – rimane fuori, mentre le ragazze urlano e sotto l’inquadratura di John Lennon appare la scritta «Ci spiace ragazze, è sposato». 73 milioni di spettatori, share del 60%, l’America si innamora dei Beatles.

Era ancora un’Europa capace di soft power, l’influenza sottile che passa attraverso la cultura, studiata nel saggio celebre di Joseph Nye tradotto da Einaudi: ai falchi di George W. Bush (tra cui proprio il marito della Nuland, Robert Kagan) Nye contrappone il soft power, accanto alla forza delle armi creare egemonia con arte, costume, moda. Nye lamenta l’arte perduta del soft power Usa, ma davanti al «si f… l’Europa» scandito mezzo secolo dopo la trionfale tournée dei ragazzi di Liverpool vien da chiedersi: e noi europei quando abbiamo perduto il nostro «Potere soffice»? Quando non siamo riusciti a darci una Costituzione condivisa? Quando abbiamo dimenticato il monito del vecchio Churchill, 19 settembre 1946, Zurigo «Dobbiamo costruire gli Stati Uniti d’Europa…»? Quando su Balcani, Ucraina, Medio Oriente, Iran, Siria, balbettiamo nella Babele delle lingue nazionali? Quando abbiam perduto l’occasione di avere al Consiglio di Sicurezza Onu un solo seggio, dall’altissimo prestigio morale e politico, per l’Unione?

Gli storici decideranno. Nel frattempo i politici minimizzano, in America un «f…» non si nega a nessuno, nel suo ultimo film su Wall Street Leonardo DiCaprio impiega la parolaccia per un record di 506 volte. Ma la verità è che Usa ed Europa sono ormai lontane. Durante la presidenza G.W. Bush tanti, tra gli europei e i democratici Usa, davano la responsabilità ai «neoconservatori» repubblicani. Sciocchezze. La presidenza Obama, che incanta gli europei fin dal discorso da candidato a Berlino, luglio 2008 «L’America non ha migliore amico dell’Europa», lascerà Washington e Bruxelles non più vicine di un pollice. Il patto sul libero commercio Atlantico non scatta, e non per mancanza di interessi, ma perché il negoziato langue burocratico, sterile, senza passione civile.

Nsa e spionaggio, Russia e Cina, shale gas e Ogm, ambiente, troppi attriti tra i partner del dopoguerra. Se non ci offendiamo per il «vaffa» della Nuland, se lo guardiamo in controluce, con nostalgia per la Beatlemania 1964 Usa, quando l’Europa era «cool», forse cogliamo la magia perduta. I nostri leader di oggi, gli incolori Van Rompuy e Lady Ashton, i contendenti alla guida dell’Unione, gli eterni Jean-Claude Juncker, Martin Schulz, Guy Verhofstadt, un conservatore, un socialista, un liberale per tutte le stagioni come mai potrebbero colpire il nipote di una ragazzina urlante del 1964? Immaginate qualcuno a strillare per Jean-Claude, Martin, Guy come per John, Paul o George? Noi no, purtroppo.

da www.lastampa.it