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"Serve tempo per imparare", di Luca Canali

L’invito del latinista a non trascurare l’approfondimento. La nuova cultura tecnologica ed elettronica ha meriti di concretezza e velocità ma anche pericoli di una eccessiva superficialità

Quando si è molto vecchi, come io sono, e si sono attraversati quasi tutti i possibili ambienti, e io li ho atttraversati,dalle università alle carceri politiche, al Pci – che già di per sé li conteneva quasi tutti -, dalle cellule operaie ai ceti medi, dai bancari agli assicuratori, alle redazioni dei giornali, ma anche a quelli frivoli della dolce vita (ciao Fellini, scomparso troppo presto!), e si è tipi che si affezionano e hanno molti amici, anche se poi molti e molti se ne sono andati, e altri tradiscono e te ne restano sì e no due o tre che poi hanno altro da fare, mentre tu, con le cataratte agli occhi devi cessare di leggere (maledetta grafia minuscola!) e per scrivere devi lasciare le predilette biro e sostituirle con i pennarelli a grafia «neretta» per me
di più facile lettura, allora ti immergi nel passato con nostalgia di tante persone care e il loro ricordo ti ingoia e devi difenderti persino da tentazioni suicide (se dall’aldilà mi sentite, vi abbraccio Carlo Lizzani e Lucio Magri e altri ancora, che a quella tentazione, autodistruttiva, purtroppo non avete resistito), e ti consoli ricordando la pubblicazione dei primi versi del De rerum natura di Lucrezio da te tradotti e pubblicati su Rinascita, e ti viene in mente Togliatti che volle conoscere quel giovanissimo segretario politico della sezione Colonna, che la sera andava con i compagni ad attaccare i manifesti e, se capitava, a picchiarsi con i fascisti, ragazzi in buona fede anche loro, e poi t’immergi in quell’abisso di poesia che è il poema lucreziano, oppure ricordi Giancarlo Paietta che ti avvertì (stavi per accettare una cattedra a Cuba): «Guarda Canali, se lì fai i capricci politici come qui, là ti fucilano».
Insomma ora io mi lascio pervadere dalla nostalgia, ma cerco anche di immergermi nel presente, anche se mi fa ribrezzo, non parlo della gente, parlo dei cosiddetti «potenti» e «poteri forti» che non valgono un pelo di compagni quali Trusiani, capo della cellula degli operai delle Officine Centrali Atac, o Taticchi, segretario politico della sezione Colonna, che però tutte le estati tornava
a trebbiare nella sua Umbertide, città dove era nato, o Virginio Bologna detto «er cocomero», capo dei gasisti motorizzati della Romana Gas.
Certo non si può negare che attualmente si sta diffondendo una nuova cultura che potremmo definire tecnologica ed elettronica alla quale io per ragioni anagrafiche e di formazione – legate a una
cultura tradizionale e fortemente ancorata ai valori estetici della letteratura e dell’arte – non riesco ad adeguarmi anche perché credo che, nonostante tutti i suoi meriti di concretezza e velocità di apprendimento, queste nuove modalità di apprendimento e di comunicazione superficializzino l’attività di ricerca e di riflessione.
Così accade che anche la formazione di una nuova classe dirigente, che con eccesso di enfatizzazione punta sulla categoria etico-politica del cosiddetto giovanilismo e della un po’ volgare definizione di rottamazione (più adatta agli sfasciacarrozze che agli uomini di cultura o semplicemente degli intellettuali e dei politici) rischia di produrre invece guasti difficilmente riparabili nell’intera società. Aggettivi e trovate linguistiche di tipo avanguardistico possono talvolta ottenere l’effetto contrario alle intenzioni di coloro che le hanno inventate ed essere pericolosamente vicine a una terminologia di vago e forse involontario sentore «di estrema destra».
Non dimentichiamo che su questi concetti di distruzione e ricostruzione di valori teorici si sostanziarono ideologie pericolose che finirono per disumanizzare la lotta politica e la spinsero pericolosamente vicina a fenomeni deteriori di comportamento umano. A tale proposito è inutile fare esempi chiari e raggelanti. La civiltà dei nuovi mezzi di comunicazione va accettata. Serviamoci dunque dei telefoni cellulari che fanno tutto, aiutiamoci con google e altri motori di ricerca, ma cerchiamo al tempo stesso di evitare che questa digitale semplificazione e velocizzazione diventi una specie di pericolosa chimera per le giovani generazioni che andrebbero invece educate alla severità dell’impegno per scongiurare l’impoverimento progressivo, e a velocità trionfante, della società soggetta in questi ultimi anni a programmi economici basati sui tagli, tagli e ancora tagli anche sulla scuola, sulla ricerca, sull’Università e sulle misure per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. Tutte le facilitazioni introdotte dalla cultura tecnologica ed informatica stanno rischiando di diventare la premessa di una ulteriore divaricazione tra la povertà (anche intellettuale) e il lusso, lo snobismo di quella parte, non molto limitata come si crede, costituita dagli estremamente privilegiati membri della società affluente.

da L’Unità