università | ricerca

"Ma i ricercatori non sono postelegrafonici. Una ASN da ripensare in modo radicale", di Francesco Coniglione

Gli effetti del nuovo sistema di abilitazione nazionale (ASN) si stanno vedendo sempre più, via via che escono i risultati delle varie commissioni: oltre alle denunzie e ai cahiers de doléances quotidianamente presentati su tutti gli organi di stampa e su Roars, v’è chi vorrebbe anche accreditare l’idea che i nomi dei vincitori erano già scritti nelle stelle e che quindi in effetti l’ASN è il solito trucco per far passare i predestinati. V’è molto di vero e anche molto di falso in quest’ultima tesi, a seconda del lato da cui la si considera. Per un aspetto, diciamolo chiaramente e senza false ipocrisie, in un sistema normale che premia il merito scientifico, il fatto che si sappia in anticipo chi vincerà un certo concorso deve essere ritenuto la condizione normale e non può essere considerato affatto una patologia. Per un altro aspetto, invece, il fatto che si possa prevedere che un illustre sconosciuto possa risultare idoneo, rivela che effettivamente c’è qualcosa di marcio in Danimarca. Ma queste sono in effetti le due facce di una medesima medaglia.

Alla base della meraviglia per i due diversi esiti v’è infatti un errore di fondo, diffuso particolarmente sugli organismi di informazione di massa: ritenere il concorso per l’avanzamento scientifico alla stessa stregua di uno alle poste. In questo, infatti, tutti i candidati sono sullo stesso piano, in quanto posseggono solo un titolo di studio generico che è soltanto una condizione necessaria ma non sufficiente, sicché spetta alla commissione giudicatrice selezionare quelli che alle prove assegnate – nelle quali consiste tutto l’onere dell’accertamento – dimostrano i migliori risultati. È ovvio che in questo caso azzeccare i vincitori in anticipo, in assenza di qualsiasi altro indicatore, costituirebbe un segno evidente di concorso truccato.

Ma non è così all’università e nel sistema della ricerca, diversamente da quanto immaginano gli sprovveduti e gli estranei all’ambiente. In questo caso prima di arrivare ad una valutazione (come l’ASN), lo studioso ha pubblicato articoli e volumi, ha frequentato congressi, fa parte di società scientifiche, ha seguito studiosi e ha intessuto rapporti di amicizie e conoscenze che non sono solo “mafiose”, ma motivate da affinità disciplinari, da condivisione di scuole di pensiero, da comuni battaglie in nome di prospettive teoriche condivise. Insomma uno studioso degno del nome è conosciuto molto prima del momento in cui si sottopone a valutazione, specie in settori concorsuali molto specialistici e per le fasce più alte delle qualificazioni (come ad es. per associati e ordinari): di esso i colleghi parlano con maggiore o minore approvazione, hanno sviluppato una “communis opinio” e sanno bene se è meritevole o meno, se è un acchiappafarfalle oppure le sue ricerche sono ben fatte, documentate, originali. In tali condizioni la valutazione finale non è una sorta di terno al lotto, un concorso alle poste in cui tutti partono allo stesso livello, ma solo il momento finale in cui viene formalmente riconosciuto un consenso e una stima già socialmente consolidata nella comunità scientifica. Ecco allora che è del tutto possibile prevedere i vincitori di tale valutazione: anzi, se così non fosse, si dovrebbe sospettare che la commissione abbia adoperato criteri del tutto arbitrari, allontanandosi dalla consolidata stima (o disistima) che ciascuno dei candidati porta naturalmente con sé.

Tutto bene allora? Niente affatto, perché quando questo meccanismo di selezione progressiva, graduale e distribuita, che porta al consolidamento del prestigio di uno studioso, viene rattrappito e condensato in un sistema in cui una commissione nominata in modo accidentale (per sorteggio) si trova ad avere tutto il potere – di vita e di morte – nelle proprie mani; e quando si ha un concorso-monstre in cui solo cinque persone giudicano su macrosettori con centinaia di candidati, allora non possono che emergere le distorsioni e le patologie di un sistema malato, che vengono esaltate, amplificate, rese esplosive. Non bastano mediane, indici bibliometrici e raffinatezze del genere (peraltro mal concepiti e peggio implementati), perché s’è visto che se le commissioni vogliono, possono ignorarle del tutto, o tenerne conto quando loro conviene, in quanto nelle condizioni in cui s’è svolta l’ASN è pressoché impossibile resistere alle pressioni che provengono dall’esterno e che obbediscono alla logica del salire sulla carrozza del treno che passa: oggi la commissione mi è favorevole e quindi devo fare di tutto per farci entrare il brocco che mi aggrada (o l’amante o la figlia, ecc.); con la prossima commissione non si può dire. Non solo, ma diviene irresistibile, per le cordate che casualmente sono in maggioranza nelle commissioni, la tentazione di far passare “i propri” a discapito di quelli della scuola avversa e così via, con tutte le variazioni che l’italica mente è capace di immaginare.

E del resto, quale giudizio competente e nel merito possono dare solo cinque commissari, che il sorteggio ha possibilmente assemblato senza alcuna considerazione per la copertura disciplinare di macrosettori assai vasti (in settori molto comprensivi, possono esser mancati del tutto gli specialisti di ampi campi di ricerca)? La reputazione che si costruisce nei modi da noi sopra indicati, non viene certo attribuita da tutti i componenti di un settore assai vasto, ma solo dagli specialisti dell’argomento; per farla breve, lo studioso di Marsilio Ficino non conquista una buona (o cattiva) reputazione da parte dei più di 150 professori ordinari di Storia della filosofia, ma solo da parte dei quindici (dico numeri a caso) specialisti di filosofia del Rinascimento: e sono questi ultimi che ne devono giudicare la maturità scientifica. Una banale conditio sine qua non del tutto ignorata dall’attuale sistema di ASN. E non si obietti che i commissari potevano acquisire il parere pro veritate di un esperto esterno, in quanto mi paiono evidenti gli inconvenienti e gli arbìtri cui può dar luogo una simile procedura (basti solo pensare a quanto sia facile promuovere o bocciare scegliendo l’esperto giusto, come avevo già segnalato in un precedente articolo).

Ed ecco allora che i risultati a cui stiamo assistendo sono quelli da più parti denunziati: meritevoli bocciati (perché possibilmente non sono riusciti a incastrarsi in una delle combinazioni favorevoli) e brocchi vincitori (e questi sono possibilmente quelli che non sono prevedibili); straordinaria variazione dei giudizi e dei criteri a seconda dei candidati (in certi casi diventa indispensabile la pubblicazione “internazionale”, in altri casi viene del tutto ignorata la sua mancanza, all’uopo); giudizi sommari di tre righe e spesso incollati da un candidato all’altro con inevitabili ripetizioni; errori materiali a non finire; incongruenze, e così via in una sorta di galleria degli orrori. Tutto questo è il frutto di un meccanismo – come quello dell’ASN – che si è dimostrato essere il sintomo di una malattia della quale pretendeva essere la cura, fallendo così clamorosamente l’obiettivo: le mediane e gli indici bibliometrici, che avrebbero dovuto costituire la novità nella illusoria speranza di fissare argini all’arbitrio, sono state bellamente ignorate dalle commissioni, che non hanno esitato a idoneare chi non presentava alcuno dei requisiti o bocciare chi invece li possedeva tutti e tre. Ovvia conseguenza di quanto già contenuto nel decreto ministeriale, come ogni persona dotata di buon senso ha previsto, e non certo i talebani che hanno visto in questo nuovo sistema lo strumento per una resa dei conti o una rivincita rispetto a chi in passato aveva dominato certi settori concorsuali o che – persino in buona fede – si sono illusi delle sue virtù taumaturgiche.

Solo quando ci si sarà resi conto della necessità di superare la italica sindrome del Grande Concorso Unico Nazionale Per Tutte Le Discipline, mettendo in atto un meccanismo del tutto innovativo in cui la valutazione non sia il momentaneo arbitrio di una commissione che stila giudizi stereotipati di poche righe, ma la presa di responsabilità pubblica da parte di studiosi, scelti per competenza e non a caso, che producono un’ampia, motivata e argomentata decisione su ciò che si valuta, solo allora sarà forse possibile riavvicinare il consenso condiviso della comunità degli studiosi con il processo di avanzamento e riconoscimento dei meriti degli studiosi.

da www.roars.it