partito democratico, politica italiana

"Lo scontro fra due velocità", di Mario Calabresi

Il passaggio politico in cui siamo stati tutti improvvisamente scaraventati crea a molti italiani, penso alla maggioranza, un senso di incredulità se non di disagio. Se i sondaggi, le lettere che arrivano ai giornali, i commenti sui social network e i ragionamenti che si ascoltano per strada hanno ancora valore, allora questo cambio di governo è inaspettato. Gli occhi erano puntati su un altro tema: le elezioni. La domanda più frequente, fino a tre giorni fa, era: andremo a votare questa primavera o nel 2015 con una nuova legge elettorale? Nessuno, o quasi, immaginava una sostituzione in corsa di Letta con Renzi.

Eppure questo strappo, che si sta consumando e di cui non conosciamo ancora l’esito finale, è figlio naturale dell’opinione pubblica di questo tempo, di un Paese impaziente che chiede spallate, forzature, che sogna fuochi catartici e non sopporta più il riformismo, le attese e i tempi lunghi, anche quando possono essere giustificati e inevitabili. Gli stessi che oggi dicono di non volere il segretario del Pd a Palazzo Chigi senza un passaggio elettorale sono anche quelli che nello stesso tempo lamentano le timidezze e le indecisioni del premier in carica e del suo governo.

Renzi lo ha capito perfettamente, perché tra le sue caratteristiche costitutive ha – oltre alla velocità – l’essere completamente dentro il suo tempo, in sintonia con gli umori profondi della nostra società. E su questo ha scommesso, sul fatto che il gesto rapido e plateale parla alla pancia del Paese più di ogni altra cosa e può dare soddisfazione a tutti coloro che identificano nell’immobilismo il principale nemico da affrontare.

E allora i tratti peculiari di Letta, che ieri ha elencato in conferenza stampa, paiono quasi antichi e fuori moda: essere uomini delle Istituzioni, essere rispettosi, non amare il protagonismo, non riuscire ad essere sexy o accattivanti. Poche settimane fa mi ha detto che è contro la sua natura fare conferenze stampa tutti i giorni e fare uno spot per ognuna delle decisioni del governo, che le cose buone dovrebbero quasi parlare da sole. Sarebbe bello se tutto questo fosse ancora vero ma purtroppo non vale più, siamo nella società delle narrative e dell’immagine e la politica non può pensare di non giocare quella partita.

Matteo Renzi invece pensa che correre e scartare siano doti necessarie per interpretare la modernità, ha di certo ragione se questo è necessario per non finire trascinati nel pantano, in quella densità di burocrazie, regolamenti e abitudini in cui viviamo, ma resta da chiedersi se governare non sia una maratona e se sia possibile arrivare in fondo tenendo la velocità con cui si affrontano i 100 metri.

Nell’ultimo anno e mezzo questo giornale è stato tra i primi a capire il fenomeno Renzi, a dargli spazio quando la sua corsa contro Bersani sembrava solo una testimonianza perdente, così abbiamo apprezzato la correttezza e le capacità di Letta, convinti che l’Italia meritasse finalmente un cambio generazionale.

Si poteva sperare che fosse possibile una forma di collaborazione, un passaggio concordato e condiviso, che la nuova generazione non ripetesse gli stessi schemi di duello di quelle precedenti, invece siamo ad uno scontro feroce che lascerà il segno.

Matteo Renzi ama ripetere che non ha paura di tirare i calci di rigore, che, se glielo chiedono, va dritto al dischetto e tira anche se c’è il rischio di sbagliare. Abbiamo tutti voglia di andare in gol, di ripartire, ma questa volta c’è un dettaglio da non sottovalutare: su quel pallone ci siamo tutti noi e non vorremmo finire fuori campo o, peggio, inchiodati contro un palo.

da www.lastampa.it