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"Stuprata dal branco nei bagni della scuola “Gli amici mi minacciano, cambio istituto”, di Massimo Calandri

PERSEGUITATA e costretta a lasciare la scuola che frequentava. Due settimane fa avevano abusato di lei nello spogliatoio maschile del-l’istituto, un insegnante era intervenuto per fermare l’aggressione. Poi la denuncia, l’apertura di un’inchiesta del Tribunale dei Minori e la misura cautelare nei confronti dei componenti del branco, indagati per violenza sessuale. Nel frattempo l’adolescente era tornata al proprio banco, cercava disperatamente di riprendere a vivere. Ma nei giorni scorsi sul telefonino cellulare ha cominciato a ricevere dei criminali messaggi da alcuni allievi dell’alberghiero “Migliorini” di Finale Ligure. Terrorizzata, non è più tornata in classe.
Nella scuola professionale della Riviera, nell’intervallo tra una lezione e l’altra, il 31 gennaio scorso quattro coetanei l’avevano trascinata in un bagno lontano dallo sguardo degli altri. Avevano iniziato ad abusare di lei, ma un professore aveva sentito le risate sguaiate e le urla d’aiuto: spalancata la porta dello spogliatoio si era fatto largo tra il branco, soccorrendo la ragazza in lacrime e accompagnandola a casa dai genitori. I quattro erano stati sospesi e qualche giorno dopo convocati dai carabinieri in caserma. Uno per uno, insieme a mamma e papà. «Sì, è successo qualcosa: ma non pensavamo di fare niente di male», hanno provato a difendersi. Sono stati arrestati per violenza sessuale e affidati a diverse comunità per i minori tra Liguria, Toscana e Piemonte. Non sono finiti in un carcere minorile solo perché incensurati. Saranno interrogati la prossima settimana dal gip Giuliana Tondina del Tribunale dei Minori di Genova.
Gli inquirenti hanno ascoltato a lungo la vittima e gli insegnanti, verificandone le dichiarazioni: sono arrivati a fotografare i diversi locali dell’alberghiero (quando sono accaduti i fatti era appena terminata una lezione di cucina e gli studenti stavano rientrando in classe), sulla ricostruzione non ci sarebbero dubbi. La ragazzina ha raccontato che già nelle settimane precedenti i quattro l’avevano molestata: ma per paura e vergogna aveva preferito tacere. Dopo l’intervento dei carabinieri pensava fosse tutto finito, e la settimana passata è tornata a scuola. Ma per pochi giorni: «Hanno cominciato a bersagliarla di messaggi minatori », ha raccontato il suo avvocato. «Ha preferito lasciare l’istituto».
Luca Barberis è il preside del “Migliorini”. «Aspettiamo la fine dell’inchiesta per poi adottare i provvedimenti disciplinari del caso», dice. «Spero si arrivi in tempi rapidi a chiarire le responsabilità delle persone coinvolte. La priorità è salvaguardare la vita di questi cinque ragazzi».
Non è una storia di giovani sbandati, di famiglie disagiate. Il capitano Michele Morelli, della Compagnia di Albenga, l’ufficiale dell’Arma che ha gestito questa orribile vicenda, confessa di essere rimasto stupito dalla “disponibilità” e dalla “comprensione” mostrata — pur nella disperata amarezza per quanto accaduto — dai parenti dei ragazzi coinvolti. Prima il padre e la madre dell’adolescente violentata: il cui unico pensiero è naturalmente la salute della figlia. Ma che vorrebbero anche “capire”: «Perché non è possibile che dei sedicenni non si rendano conto della gravità di quello che hanno fatto. Del dolore provocato», dicono. Anche gli altri genitori, che davanti agli investigatori non hanno in alcun modo giustificato i figli, vorrebbero capire. Sono piccoli commercianti, impiegati, operai. Famiglie normali con figli “normali”.
Convocati in caserma, i ragazzi hanno risposto che sì, sapevano perché si trovavano lì. E lo avevano anche confessato in famiglia, cos’era accaduto nei giorni precedenti. «In loro c’è come una forma di pentimento», spiegano gli inquirenti, «ma è legato al dispiacere provocato in casa: la vergogna per la sospensione dalla scuola, l’arresto, la consapevolezza di aver deluso i genitori. La violenza no, non l’hanno percepita. Continuano a ripetere che era solo uno scherzo. Un gioco. E si stupiscono, che proprio non riusciamo a capire».

da la Repubblica

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“Melita Cavallo, presidente del Tribunale dei Minori di Roma”, di Maria Elena Vincenzi

“In gruppo perdono il senso del limite così giustificano le loro violenze”
«Il problema è che oggi i giovani non hanno limite, non sono in grado di fermarsi e basta nulla per arrivare alla violenza. È sufficiente pensare agli episodi di bullismo: non ci si ferma più, anzi spesso c’è chi rinforza, chi aizza, chi rincara la dose». Melita Cavallo, è presidente del Tribunale dei Minori di Roma, e da anni si occupa dei giovanissimi.
Presidente, spesso accade che anche quando vengono arrestati, gli adolescenti non capiscano che hanno fatto qualcosa di grave.
«Non credo che non sappiano cosa sia un reato, lo sanno eccome. Il problema è che quando sono insieme non si rendono conto, non capiscono che avere avuto un ruolo, anche se marginale, è comunque avere partecipato. Sa quante volte nella mia carriera mi è capitato di sentirmi dire: “Ma io ho fatto solo quello”? Come se fosse una parte e non il tutto. E per questo non si sentono colpevoli».
E spesso poi accade che le famiglie o la comunità in cui vivono li giustifichino.
«Il processo penale per i minori è studiato per questo. Per metterli di fronte alle proprie responsabilità,
alle conseguenze di ciò che il reato ha prodotto sulla vittima. È tagliato sulla personalità del ragazzo per ottenerne il cambiamento ».
Magari non bisognerebbe arrivare in un’aula di tribunale per capirlo.
«Certo. Ma purtroppo è saltato il rispetto dell’altro. È saltato negli adulti, figuriamoci nei minori che sono fragili, oggi più che mai. E le famiglie in questo hanno una grandissima responsabilità perché poco regolative. Voglio però aggiungere che ci sono comunque tanti minori che hanno le idee ben chiare e si comportano bene».
Quanta e quale pensa che sia la responsabilità del mondo esterno oltre che dei genitori?
«Tanta. È la società che è così. Poi c’è la televisione e, soprattutto, ci sono internet, facebook».
Sembra che i ragazzi ormai vivano in un’altra dimensione, scollegati dalla realtà.
«Questi mezzi sono utilissimi perché permettono di mantenere il contatto con il mondo esterno. Ma anche in questo serve un limite. Quando li ascolto mi rendo conto che spesso, anche nelle famiglie semplici, i ragazzi hanno il computer in camera e ne fanno l’uso che vogliono. Sono su internet giorno e notte. E questo non va bene. Torniamo sempre allo stesso discorso: ci vorrebbe un limite che spesso non c’è».

da La Repubblica