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"Torna la crescita, dopo due anni Moody’s migliora il giudizio sull’Italia", di Stefania Tamburello

Borsa ai massimi, Btp ai minimi: i mercati hanno salutato così, con palese entusiasmo, il cambio di governo. E in serata Moody’s ha promosso l’Italia migliorando da «negative» a «stabili» le aspettative (outlook) e confermando il rating sul debito al livello Baa2. Una valutazione, quest’ultima, conclusa il 10 febbraio e comunicata ieri, come da calendario. La nota dell’agenzia registra comunque le dimissioni di Enrico Letta e sottolinea che «le attese sulla designazione di Matteo Renzi alla guida del governo non cambiano le previsioni di Moody’s» sulla tenuta dei conti pubblici. Per il 2014 l’agenzia di rating stima un rapporto debito-Pil che tocca il picco appena sotto quota 135% nel suo scenario base, ed evidenzia la rafforzata capacità di fare fronte al debito pubblico grazie anche al miglioramento delle condizioni di mercato.
Sempre ieri l’Istat ha annunciato la prima variazione positiva del Pil, Prodotto interno lordo, dopo 9 trimestri di calo. Il debito pubblico, poi, inusualmente non ha fatto emergere un nuovo record ma una, seppure piccola e stagionale, contrazione. Non c’è che dire il tragitto di Matteo Renzi, verso Palazzo Chigi, per sostituire Enrico Letta che ieri si è dimesso, nasce sotto una buona stella. Era tempo che non si vedevano tutte assieme tante notizie positive in campo economico. Certo non tutte dello stesso valore, e non tutte collegabili alle vicende politiche di giornata, ma il segnale, per ora, è di quelli che indicano fortuna e la cosa non guasta.
Piazza Affari e titoli pubblici, per iniziare. In questo caso le vicende politiche e l’avvicendamento alla guida dell’esecutivo non sono state estranee al comportamento degli investitori. In un contesto positivo per tutti i listini europei spinti dai dati sulla fiducia dei consumatori Usa e dall’aumento del Pil dell’eurozona, la Borsa di Milano ha registrato il guadagno più alto dell’1,62% a 20.436,47 punti, ai massimi da tre anni.
Lo spread tra i rendimenti dei Btp decennali e Bund tedeschi di uguale durata, è tornato a scendere sotto quota 200 chiudendo poi a questo livello con il titolo italiano in miglioramento al 3,68% e con l’intera curva delle scadenze in riduzione. Ad influire sul mood degli investitori è stata la prospettiva di una rapida formazione del nuovo governo. Anche se le maggiori istituzioni finanziarie estere, nei loro rapporti raccolti da Bloomberg — da Nomura a Citigroup — puntano molto sulla capacità di Renzi e del suo governo a completare le riforme.
Certamente sui mercati ieri ha influito l’andamento positivo del Pil in Europa in dicembre. Per l’Italia la notizia è stata particolarmente significativa perché il progresso dello 0,1% rappresenta il primo accenno di ripresa dal secondo trimestre del 2011 e la speranza che la recessione sia finalmente finita. È il segnale che aspettavano Letta e il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, e che è arrivato invece a salutare l’arrivo del nuovo esecutivo targato Renzi. Un segnale peraltro molto flebile soprattutto se si rapporta a quello della Francia che a dicembre ha registrato un passo avanti del Pil dello 0,3% e della Germania in progresso dello 0,4% mentre il Prodotto dell’Eurozona è salito nella media dello 0,3%. Il dato positivo di dicembre, poi, non cambia il dato complessivo del 2013 che si è chiuso con un Pil in calo dell’1,9% portando il costo della crisi, dal 2008, a quasi 9 punti percentuali, secondo i calcoli della Banca d’Italia.
Da Palazzo Koch ieri è arrivato il dato sul debito pubblico che a dicembre invece di far registrare l’ennesimo record è sceso di 36,5 miliardi rispetto a novembre, attestandosi a 2.067,5 miliardi di euro, comunque 78 miliardi in più di fine 2012. Quanto alle entrate fiscali hanno segnato nel 2013 — sono ancora i dati di Bankitalia — un leggerissimo aumento dello 0,26% rispetto al 2012.
Il ministero dell’Economia e delle finanze ha invece reso noti i dati di sintesi del conto del settore statale del mese di dicembre che ha registrato un avanzo di 14,474 miliardi. In particolare, le entrate sono ammontate a 119,386 miliardi mentre le spese a 104,912 miliardi (di cui 6,788 miliardi le spese per interessi).
Stefania Tamburello
L’Italia torna a crescere dopo oltre due anni E Moody’s: ora stabili
L’Italia torna a crescere. L’Istat ha annunciato la prima variazione positiva del Prodotto interno lordo (+ 0,1 %) dopo nove trimestri di calo, cioè dal 2011. Il debito pubblico ha registrato una lieve contrazione. Inoltre, l’agenzia Moody’s conferma il voto sull’Italia: «Outlook da negativo a stabile».
I mercati hanno salutato con la Borsa ai massimi e i Btp ai minimi il cambio di governo: era da tempo che non si vedevano tutte insieme tante notizie positive in ambito economico. È il segnale, per quanto flebile, che aspettavano Letta e il ministro Saccomanni e che invece è arrivato nel giorno delle dimissioni.

Il Corriere della Sera 15.02.14

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Il frutto della lentezza
FRANCESCO MANACORDA

Bo cciato dalla politica, promosso dal mercato. Nel giorno in cui deve abbandonare Palazzo Chigi, Enrico Letta incassa un riconoscimento ai suoi sforzi che suona come un premio di consolazione.

Il giudizio sullo stato di salute dell’economia pubblica italiana, arrivato a tarda sera dall’agenzia di rating Moody’s, migliora: le nostre prospettive non sono più considerate negative ma stabili.

Certo, il voto assegnato al nostro Paese da Moody’s non cambia e resta a un livello tutt’altro che eccelso. Vista la mole del debito pubblico non potrebbe che essere così. Ma per la prima volta in dodici anni non accade né che il voto scenda, né che resti stabile con un peggioramento delle prospettive dell’Italia. Questa volta, invece rimane stabile il giudizio mentre migliora l’orientamento su come cambierà la situazione. Nella stessa direzione va un altro dato reso noto ieri dall’Istat, proprio mentre Letta si chiudeva dietro le spalle il portone di Palazzo Chigi, ossia il (micro) aumento del Pil dello 0,1% nell’ultimo trimestre del 2013. Anche in questo caso il segnale arriva dopo un lungo periodo – due anni e mezzo – di Pil con segno negativo o al massimo con crescita zero. E se vogliamo, al bilancio in attivo si può aggiungere uno spread da mesi lungamente lontano dai massimi del 2011 che ieri – proprio sull’onda delle aspettative dei mercati per il governo di Matteo Renzi – è sceso sotto quota 200.

Si tratta, come è ovvio, di dati che non hanno più alcuna utilità politica per il governo uscente e che rischiano quasi di suonare come una beffa, ma che ci impongono di riflettere sull’impazienza con cui si giudicano i risultati delle politiche di governo.

Ma quello che ci indicano è che il Paese che Letta consegna – contro la sua volontà – a Renzi, ha probabilmente arrestato la caduta libera e va stabilizzandosi. Certo, non siamo ancora di fronte a una ripresa che pure qualcuno nel governo aveva evocato – uno 0,1% del Pil non autorizza a parlarne, mentre un tasso di disoccupazione che resta al massimo storico del 12,7% spegne qualsiasi ottimismo velleitario – ma quantomeno ritroviamo una base stabile sulla quale una ripresa si potrebbe innestare. Se Renzi riuscirà a farlo ne coglierà i frutti, in termini economici e forse anche politici. E se così sarà dovrebbe, anche se non è detto che lo farà, riconoscere che la sua esperienza avrà goduto di un «dividendo» derivante proprio dal risanamento portato avanti da chi lo ha preceduto.

I dati con cui si congeda il governo uscente spingono anche a riflettere sulla velocità del cambiamento. Renzi, come è noto, gioca proprio sulla velocità la scommessa per affermare la sua offerta politica, mentre non ha chiarito finora (tantomeno alla direzione Pd che si è scrollata di dosso Letta) in che cosa la sostanza di questa offerta si differenzi da quella del governo uscente. E quella di velocità è una delle richieste più pressanti che gli arrivano dalle parti sociali. Le imprese piemontesi che sono scese in piazza ieri davanti a Montecitorio, così come i commercianti e gli artigiani che martedì prevedono di ritrovarsi in almeno 30 mila a manifestare a Roma, hanno slogan che chiedono cambiamenti radicali e immediati e non a caso accusano il governo uscente non di politiche sbagliate, ma di immobilismo.

I dati di ieri ci dicono anche che la pianta delle riforme ha bisogno di tempi non brevi per mostrare i primi germogli e per consolidarsi. C’è da augurarsi che quella specie a fioritura istantanea che Renzi è pronto a piantare sia anche in grado di dare frutti.

La Stampa 15.02.14