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"Renzi studia come sforare il patto di stabilità si apre una nuova partita con Bruxelles", di Federico Fubini

Tra due settimane si saprà se l’Italia è riuscita in ciò su cui si era impegnata. Quando saranno pubblicati i dati sul deficit di bilancio, sarà chiaro anche se Matteo Renzi avrà preso il testimone da un governo che lo ha tolto d’imbarazzo, perché ha rotto il tabù. Benché di poco, il disavanzo potrebbe risultare sopra al 3% del Pil già nel 2013.
Non è uno scenario scontato, e la Commissione europea potrebbe comunque mostrarsi tollerante di fronte a un superamento della soglia di appena lo 0,1%. Ma la partita non è chiusa: il fabbisogno di cassa dello Stato è molto elevato, oltre i 70 miliardi, e la ripresina di fine 2013 risulta più fiacca di come il governo l’avesse messa in conto.
Matteo Renzi, premier in pectore, potrebbe sentirsene sollevato: se davvero il governo uscente avesse violato il 3%, non dovrà essere lui a portarne la responsabilità. Comunque vada – il dato sul 2013 resta sul filo – i margini per quest’anno si presentano già strettissimi. Il governo Letta prevedeva una crescita dell’1%, ma ha probabilità minime di realizzarsi: l’anno è già iniziato con l’economia a velocità quasi di stallo ed è improbabile che acceleri troppo. Di certo aiuterà la ripresa europea, pronunciata in Germania, Olanda e visibile anche in Spagna e Portogallo. Per l’Italia, l’Ocse di Parigi vede una crescita del Pil dello 0,6% e la banca Morgan Stanley dello 0,2% dopo una contrazione del 9% dal 2007. Stime del genere sono fatalmente imprecise, ma suggeriscono che la debolezza dell’economia continuerà a tenere sotto pressione i conti pubblici. La tendenza è chiara: il debito oggi è al 133% del Pil e continuerà a salire. Il calo dello spread produce dei risparmi sugli interessi, ma l’inflazione quasi a zero fa sì che i tassi reali a cui deve far fronte il Tesoro siano ancora troppo alti per poter stabilizzare il debito. E anche nel 2014 il deficit viaggerà sul filo del 3%, ben che vada.
Per Renzi questa non è una condanna definitiva. Il futuro premier può sempre aprire un confronto con la Commissione europea e con l’Eurogruppo, il club dei ministri finanziari. Può dire apertamente che ha bisogno di violare il 3% di deficit per far respirare il Paese, mentre interviene in profondità per modernizzarlo. Nel 2003 lo fece la Germania di Gerhard Schroeder. Lo stanno facendo la Spagna del conservatore Mariano Rajoy e la Francia socialista di François Hollande. Il deficit di Madrid sfiora il 7% del Pil, quello di Parigi supera il 4%.
Questa strada non è chiusa, ma presenta degli oneri. Il primo è quello di presentare a Bruxelles un programma realistico che aumenti la capacità di crescita dell’Italia nel prossimo decennio. Gli annunci, specie quando vengono da Roma, non bastano più. Il governo uscente non è stato creduto quando ha promesso tagli di spesa per il 2% del Pil in tre anni con il lavoro del commissario del Tesoro Carlo Cottarelli. Dopo mesi di attesa, a Bruxelles non è arrivato alcun piano dettagliato, dunque la Commissione ha deciso di ignorare gli annunci e negare i margini di flessibilità sui conti dell’Italia.
La seconda possibile trappola riguarda invece le procedure. È possibile che la Commissione Ue accetti l’annuncio che l’Italia violerà la regola sul deficit, specie ora che la campagna elettorale per le europee è aperta. Per il governo, potrebbe sembrare un via libera. Poi però l’ingranaggio del Fiscal Compact partirà comunque: Bruxelles metterà l’Italia in procedura di violazione e chiederà un dettagliato piano di rientro entro un anno, o al massimo due. Le “missioni” di Bruxelles e le richieste tecniche si faranno sempre più pressanti. Quindi, la Commissione Ue potrà proporre sanzioni contro l’Italia e il governo potrà bloccarle solo se riuscirà a schierare una maggioranza rafforzata di Paesi europei (Germania inclusa) dalla sua parte. Un’Italia con debito e deficit in crescita rischia di sentirsi molto sola a Bruxelles. L’unico antidoto, ora più che mai, sono misure reali per rimettere il Paese in condizioni di camminare.

La Repubblica 16.02.14