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"Le vere priorità per l’economia", di Massimo D'Antoni

Quali dovrebbero essere le priorità del governo Renzi? In questi giorni è un fiorire di indicazioni e suggerimenti. Il premier incaricato dovrebbe però temere l’entusiasmo e le aspettative che ha suscitato più delle critiche. In parte questo entusiasmo proviene infatti da chi si aspetta che il nuovo governo porti fino in fondo le scelte dell’agenda Monti.
Ovvero: riforma delle regole del mercato del lavoro e tagli consistenti alla spesa pubblica. A questa prima categoria di entusiasti sfugge che il segretario-premier ha conquistato il cuore degli elettori del Pd con una promessa di rinnovamento e di riscatto, ma non è affatto ovvio che questa adesione si spinga fino ad un sostegno a quelle politiche di impronta liberale che lo stesso Renzi si è ben guardato dal riproporre apertamente dopo la sconfitta alle primarie del 2012.

C’è poi una seconda categoria di entusiasti, per lui non meno pericolosi: coloro che pensano che la soluzione dei problemi del Paese sia semplice e ovvia, e a far difetto in passato sia stata la volontà politica o la determinazione. Non è così, ed è bene chiarirsi che i problemi dell’Italia sono seri; che non c’è affatto unanimità su quali siano le priorità in fatto di terapie da seguire; che molte delle soluzioni sono già state discusse e sperimentate in passato, persino dal governo uscente; che, infine, se finora non si è fatto di più è perché molte di quelle soluzioni si sono rivelate inefficaci e perché l’operare di vincoli reali e tuttora operanti ha compresso lo spazio di manovra del governo.

Effetti illusori. Si tende a sopravvalutare ad esempio l’effetto quantitativo, in termini di risparmio di spesa, degli interventi sui costi della politica. Così come si sopravvaluta la possibilità di recuperare risorse dalle cosiddette «pensioni d’oro» o il gettito ottenibile, per dirne una gradita a sinistra, da un’imposizione più aggressiva dei redditi finanziari. Si sopravvaluta l’effetto sul mercato de lavoro di un ulteriore allentamento dei vincoli al licenziamento, come dovrebbe aver dimostrato la scarsa efficacia di quanto già fatto nel 2012 dalla ministra Fornero.

Vincoli reali di tipo politico. Volere è potere, ma anche il leader più abile e deciso dovrà considerare che spostare il peso fiscale dal lavoro alla rendita vuol dire alzare ulteriormente la tassazione sulla proprietà immobiliare o magari intervenire sui titoli di stato; che non è possibile ridurre la spesa pubblica in misura consistente senza intaccare universalità e qualità dei servizi forniti (o magari ridurre gli stipendi dei dipendenti pubblici!). Sono interventi di questo tipo nella disponibilità politica del nuovo governo e delle forze che lo sostengono?

Vi sono poi, cruciali, i vincoli esterni. Un allentamento della camicia di forza del fiscal compact sarebbe auspicabile. Tuttavia, non è chiaro come questo allentamento possa avvenire. E questo non solo per le possibili reazioni dei partner europei, ma anche per la costituzionalizzazione dell’equilibrio di bilancio. Come evitare che una legge di stabilità che non rispetti il fiscal compact venga impugnata in commissione affari costituzionali?

Se un consiglio ci permettiamo di dare al nuovo presidente del consiglio, è allora quello di concentrarsi su alcune priorità: l’Europa, dove deve agire con determinazione ma anche grande abilità, approfittando del semestre di presidenza per mettere in campo una strategia che cerchi di modificare gli attuali rapporti di forza; la politica del credito verso le imprese, rafforzando quanto di buono era stato messo in campo già dal governo Letta, sia con lo strumento delle garanzie che sul fronte dei rimborsi dei crediti commerciali; gli investimenti, sia pubblici che privati, a cominciare dall’infrastruttura delle telecomunicazioni e dal risparmio energetico; la creazione di un efficace sistema di ammortizzatori sociali e infine, ultimo ma fondamentale, la riqualificazione della pubblica amministrazione. Lasci invece perdere l’idea dello shock, del colpo di frusta, da ottenersi magari per via fiscale. La riduzione del cuneo, su cui insiste ad esempio Confindustria, è una misura che in termini occupazionali ha effetti discutibili, a meno di impegnare una quantità di risorse tale da rendere impraticabili altre più efficaci politiche. Usi semmai le risorse che si renderanno disponibili per rilanciare in modo mirato la domanda. Più in generale, a costo di essere un po’ meno «Renzi», non cerchi il colpo ad effetto ma dia segnali chiari sulla volontà di agire in una prospettiva di medio lungo periodo, perché non sarà né rapida né facile.

L’Unità 19.02.14