attualità, politica italiana

"Cosa ho imparato in nove mesi al governo", di Marco Simoni

Molti luoghi comuni sono falsi, come quello che le cose non si possano cambiare. Ma la burocrazia spiega perche’ l’Italia non funziona: ecco qualche esempio. In nove mesi di esperienza in un ministero, provenendo da tutta una vita lavorativa spesa all’estero, si impara che alcuni luoghi comuni sono falsi. Primo luogo comune: le cose non si possono cambiare. Al contrario, si possono fare moltissime cose, si può cambiare persino il volto dell’amministrazione applicando un metodo rigoroso (mi verrebbe da dire scientifico) che punti al risultato, anziché alla forma.
Noi avevamo il compito di fare aumentare l’export, che ovviamente non si fa per decreto. In un paese di piccole e medie imprese bisogna soprattutto spiegare e raccontare quali strumenti esistono a loro disposizione per conquistare i mercati. Allora abbiamo chiesto all’Istituto per il commercio estero di formare 50 suoi funzionari alle più recenti tecniche di check-up aziendale, e poi abbiamo organizzato a costi irrisori – e con sponsor privati – un “Roadshow” nei territori (finora a Biella e Bari, ma altre 20 circa sono programmate).
Questi funzionari in una giornata incontrano a tu per tu le aziende che possono esportare ma ancora non lo fanno, aziende scovate grazie ad un database “scientifico” predisposto con la collaborazione di Confindustria e Unioncamere.
Secondo luogo comune: non ci sono più risorse. Noi avevamo un problema: i competitors dell’Italia spendono molto più di noi in promozione commerciale, che però per un paese di Pmi come il nostro è del tutto fondamentale perché con poca spesa si raggiunge un gran risultato in termini di crescita economica.
Dopo qualche mese di lavoro abbiamo innanzitutto trovato circa 25 milioni (appunto una piccolissima posta), che erano fermi su un conto corrente dello Stato dal 1994 (sic). Inoltre, abbiamo recuperato – e concentrato sulla promozione – circa altri 10 milioni che erano sparsi in rivoli del tutto inefficaci perché minuscoli o perché vincolati a modi di utilizzo così burocratici da renderli di fatto dormienti. In altre parole: anche sotto una doverosa “spending review” ci sono moltissime risorse da razionalizzare e impiegare in cose utili.
Terzo luogo comune: la pubblica amministrazione è inefficiente perché incompetente, o “fannullona” secondo l’arguta definizione di un ministro di Berlusconi. Al contrario, i dirigenti pubblici sono molto competenti e si fanno carico di una mole ingentissima di lavoro, ma hanno due problemi che diventano immediatamente problemi di tutti. Primo, i processi – stabiliti da leggi o regolamenti – sono fuori da qualsiasi logica di razionalità umana. Secondo, il blocco del turn over causato dai tagli lineari à la Tremonti, ne ha fatto aumentare eccessivamente l’età media. Le due cose sono ovviamente correlate.
Quando ho finito il mio phd a Londra scelsi la carriera accademica, una mia collega inglese decise invece di fare un semplice concorso pubblico e venne assunta come dirigente dalla Pa, arrivando poi al gabinetto del ministro degli interni prima dei 30 anni, in Italia non credo esista neanche un dirigente generale sotto i 40.
Un afflusso, piccolo ma costante, di giovani ai vertici della struttura amministrativa è fondamentale perché non solo consente uno scambio di esperienze intergenerazionali continue, ma anche occhi sempre nuovi su come si fanno le cose.
Uno degli ultimi giorni ho chiesto a uno dei migliori funzionari che ho incontrato di scrivermi in un foglio le procedure minime che, dall’approvazione di una legge, devono svolgersi per attuare una politica di spesa.
Il risultato di questo esercizio è stato che a tre condizioni: meno di centomila euro (ossia, un’inezia), un solo ministero coinvolto e nessuna regione (cosa rara), tutti enti e agenzie in-house (ovvero con i privati che al massimo entrano nella esecuzione), servono solo undici passaggi amministrativi, ossia lettere cartacee firmate da un ufficio apicale pubblico ad un altro, che poi scrive un’altra lettera cartacea, e così via per undici volte. Se poi, nel processo, si scavalla l’anno solare bisogna attendere tutte le procedure speciali di gennaio del nuovo anno.
Per rallentare enormemente qualunque applicazione basta dunque che in uno di quei passaggi ci sia non dico un sabotatore, un gattopardo, ma uno scrivano lento. E naturalmente, se alcune di quelle condizioni non sono rispettate, il numero di passaggi aumenta. Con queste procedure, è bene tenerlo presente, è tecnicamente impossibile predisporre politiche tempestive (infatti, ad esempio, quei 25 milioni appena recuperati e approvati a dicembre avranno bisogno di circa 9 mesi prima che possano essere effettivamente spesi per la nostra economia) ed è necessaria tutta la testardaggine di cui si è capaci per seguire fisicamente l’iter di una decisione politica e portarla a destinazione.
(docente di Economia politica alla London School of Economics, capo Segreteria del vice ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda)

da Europa Quotidiano 21.02.14