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"Legge 40: ricominciamo", di Carlo Flamigni e Maurizio Mori

L’idea di scrivere un secondo libro sulla legge 40 del 2004, quella che si proponeva di regolamentare le tecniche di fecondazione assistita, l’avevamo in testa da tempo. Tra altro eravamo infastiditi dall’idea che la riflessione sui problemi della bioetica fosse stata fatta tacere d’autorità (non si dimentichi la “moratoria” chiesta sui temi etici, considerati “divisivi” e quindi inutili e dannosi nel momento in cui il Paese è sull’orlo della bancarotta).
Il nostro primo libro («La legge sulla fecondazione assistita o Le ragioni dei quattro sì», pubblicato nel gennaio 2005), era stato un inutile tentativo di dimostrare ai cittadini quanto fosse importante andare a votare al referendum che si proponeva di eliminare almeno i punti più “ideologici” e incivili della nuova normativa: ricorderete che al referendum andò a votare solo il 25% degli italiani, molti cittadini furono trattenuti dall’idea che i referendum erano una istituzione molesta e inutile, altri dal fatto di non aver assolutamente capito di cosa si trattava (ma l’embrione non era un pesce tropicale?), altri, troppi, impressionati, convinti o semplicemente spaventati dal divieto vescovile di partecipare al voto. Ricordiamo, con qualche imbarazzo, di esserci limitati a scrivere che si trattava di una interferenza inaccettabile e che ci fu risposto che di interferenza certamente si trattava ma inaccettabile no, anzi era una interferenza doverosa e sacrosanta.
Un secondo libro, poi, l’abbiamo scritto: si intitola «La fecondazione assistita dopo dieci anni di legge 40. Meglio ricominciare da capo!» (Ananke, Torino, 2014): sarà nelle librerie dalla prossima settimana e lo presenteremo lunedì a Roma a un convegno della Sifes dedicato alla legge 40 il 24 febbraio, giorno del decimo anniversario della Legge, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 24 febbraio 2004. L’abbiamo scritto soprattutto perché ci è sembrata l’occasione di dire cosa pensiamo di un fatto importante che ci riguarda tutti e che non può passare inosservato: il Paese è cambiato e oggi quel clima di sbigottimento generale che avallò l’approvazione della legge più stupida della quale esista memoria in Italia, quella rassegnazione, quella incapacità di sdegnarsi, quella beota soggezione alla metafisica della superstizione non sarebbero più possibili. È un Paese un po’ più laico, un po’ più responsabile, un po’ più desideroso di usare la propria testa per decidere i propri destini.
La legge 40 è stata sgretolata dal buon senso e questa demolizione è stata avallata dai magistrati. Del tutto recentemente, poi, la Corte europea dei diritti dell’uomo ci ha mandato un messaggio di straordinario rilievo, che i nostri rappresentanti politici non potranno in alcun modo ignorare: su questi temi è indispensabile legiferare con cautela e leggerezza, tenendo sempre conto dei continui progressi della scienza e delle modificazioni della morale di senso comune, che reagisce alle sollecitazioni che le derivano dalla capacità di intuire i vantaggi offerti dall’avanzamento delle conoscenze.
Che poi il Paese non sia più lo stesso lo dicono molti fatti, quasi tutti recenti. Il rapporto sulla secolarizzazione pubblicato da Critica Liberale dimostra che i cittadini continuano ad allontanarsi dalla Chiesa e che i segnali di una significativa diminuzione del potere religioso aumentano; il Comitato dell’Onu che si occupa dei diritti dei fanciulli ha detto papale papale che il Vaticano ha protetto in vari modi i preti pedofili; un’inchiesta fatta tra i cattolici in Italia e nel mondo ha dimostrato che i cosiddetti fedeli proprio fedeli non lo sono più e che si è completato lo “scisma sommerso” teorizzato molti anni or sono da Pietro Prini (solo per quanto riguarda l’aborto volontario il 15 per cento degli interrogati italiani si sono dichiarati favorevoli in ogni circostanza e il 68% hanno dichiarato di esserlo in alcuni casi specifici, percentuali che nel mondo diventano rispettivamente pari al 57 e all’8 per cento). È una tendenza, le cose cambieranno ancora. In ogni caso è indiscutibile che quasi tutte le tesi sulla fecondazione assistita che nel 2004 grazie alla tempesta mediatica berlusconiana sembravano (sembravano) plausibili si sono rivelate un bluff: a rivedere oggi la lunga querelle parlamentare che accompagnò l’approvazione della legge 40 appare quello che realmente fu, una lite di condominio. È il momento di ricominciare da capo.
Se abbiamo ragione nel ritenere che in Italia nell’ultimo decennio le circostanze storiche siano radicalmente cambiate, allora il problema con il quale ci confrontiamo è quello di decidere di impostare una nuova normativa sulla terapia della sterilità che abbia queste caratteristiche: sia laica e rispettosa dei diritti di tutti i cittadini; sappia interpretare e acquisire i progressi che la ricerca scientifica ci offre con grande velocità e costanza; tenga conto di quanto rapidamente può cambiare la morale quando alle persone è consentito di intuire i possibili vantaggi che possono derivare dallo sviluppo delle conoscenze; accetti il principio che le leggi debbono ispirarsi a questa morale e non debbono mai piegarsi alle sollecitazioni delle ideologie e delle religioni; tenga conto dei messaggi, dei suggerimenti e delle critiche che ci sono giunti da numerose Istituzioni e soprattutto dalla nostra Corte costituzionale e dalla Corte europea per i diritti dell’uomo.
Il primo aspetto da considerare riguarda la necessità di promuovere una nuova prospettiva della scienza, un compito non facile, considerato il fatto che il dibattito che ha accompagnato l’approvazione della legge 40/2004 è parso a molti una fotocopia del processo che costrinse Galileo all’abiura. A parole, nessuno è contrario alla scienza, per la quale tutti riescono a trovare qualche espressione di elogio, altrettanto rituale quanto ipocrita. In realtà la scienza è temuta, e lo è per molte ragioni, nessuna delle quali è confessabile: perché l’aumento delle conoscenze entra in conflitto con i nostri più antichi pregiudizi e ci costringe a faticosi cambiamenti; perché le nuove tecniche scientifiche cambiano le circostanze storiche e mandano all’aria le nostre più ossificate superstizioni e i nostri convincimenti più radicati, quelli che si sono formati a seguito di una educazione basata su una mitologia nobilitata ametafisica e circondata da un’aura di mistero misto a sacralità. In linea puramente ipotetica, la nebbia che ci circonda dovrebbe poter essere cacciata dal vento della razionalità, ma molti pregiudizi e molte superstizioni, probabilmente per la loro ovvietà, riescono ancora a prevalere sul messaggio scientifico.

L’Unità 21.02.14