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"L’identità ucraina e gli errori dell’Occidente", d Paolo Soldini

Forse per aiutare davvero gli Ucraini la prima cosa da fare sarebbe quella di ragionare senza schemi e senza preconcetti. Nessuno nega le responsabilità che il regime di Viktor Yanukovich si è preso reprimendo nel sangue una protesta che, all’inizio, era davvero pacifica e prevalentemente animata da pretese ragionevoli. Nessuno ignora le colpe della Russia di Vladimir Putin, né la pericolosità delle sue mene per risuscitare a spese dell’«estero vicino» il sistema di relazioni che fu proprio dell’ex impero sovietico. Nessuno, però, dovrebbe contentarsi di denunciare le «contraddizioni», l’«inerzia» e (fino al massacro) il «disinteresse» dell’Europa e di tutto l’Occidente, come molti fanno in questi giorni, senza approfondire sostanza e ragioni di quell’atteggiamento colpevole. Non è vero che l’Unione europea sia stata «assente» nella crisi ucraina. L’Unione c’è stata, ma ha sbagliato. E lo stesso vale per gli Stati Uniti.

Prendiamo due momenti della storia di questo «errore». Uno è molto recente: alla fine del novembre scorso il vertice europeo di Vilnius avrebbe dovuto sancire l’associazione dell’Ucraina all’Unione. La scadenza saltò perché Yanukovich rifiutò di firmare. Per le pressioni russe, si disse, e per il prestito di 15 miliardi di dollari promesso da Mosca. È da quel rifiuto che partì la protesta, riprendendo, aggiornati, gli slogan antirussi della «rivoluzione arancione» del 2004. Ma che cosa offriva a Kiev l’Unione europea? Lo status di Paese «associato» è un istituto che prevede aperture commerciali, assicurazioni e garanzie di standard economici, giuridici e di rispetto dei diritti umani compatibili con quelli esistenti nell’Unione, ed è (o dovrebbe essere) il primo passo verso l’adesione piena e legittima. Ma tutti i leader europei pensavano, e alcuni lo dicevano apertamente, che per Kiev a quel primo passo non ne sarebbero seguiti altri. L’Ucraina è troppo distante dagli standard europei, l’economia è allo sfascio e, soprattutto, è dominata da una classe di oligarchi scaturita dal crollo dell’Unione sovietica, sopravvissuta alla rivoluzione e i cui interessi erano potentemente rappresentati dal regime (non solo quello attuale, ma anche dal precedente). L’offerta di associazione era un po’ una farsa. O meglio: una commedia recitata seriamente solo per impressionare gli spettatori russi. Tant’è che – si dice e nessuno finora ha smentito – furono proprio le autorità di Bruxelles a suggerire al Fondo Monetario, cui i governanti di Kiev avevano chiesto il prestito che avrebbero poi avuto da Putin, di adottare una linea molto pesante in materia di garanzie. I criteri del piano sono ancora a disposizione tra i documenti del FmiI a Washington: al loro confronto, le nequizie della trojka in Grecia paiono caramelle alla menta. Lo scenario secondo il quale l’Ucraina stava «entrando» nella Ue, ma Yanukovich e i russi lo hanno impedito è falso. Eppure è quello per cui centinaia di migliaia di persone sono scese nelle strade e per cui molti, troppi, sono morti.

L’altro errore decisivo nella storia dell’atteggiamento dell’Occidente verso l’Ucraina, la Russia e le regioni del suo ex impero è ben più antico. Risale agli anni successivi all’unificazione tedesca e alla risistemazione che ne seguì del sistema delle relazioni europee. E qui a sbagliare non furono soltanto gli europei ma anche, e soprattutto, gli americani. Nei negoziati che avrebbero portato all’unificazione fu assicurato a Mosca che la Nato non si sarebbe allargata ad est: neppure nella ex Germania est sarebbero state schierate armi offensive. Pochi anni dopo tutti gli Stati al di là dei confini occidentali dell’ex Urss, più le tre repubbliche baltiche che ne avevano fatto parte erano dentro l’Alleanza. Ciò corrispondeva alle volontà popolari in quei Paesi, che non si erano liberati dall’incubo del Grande Fratello, ed era perciò perfettamente legittimo nonostante le promesse fatte a suo tempo, ma l’insistenza con cui a Washington il presidente e l’establishment repubblicano insistevano nelle distinzioni tra «Europa vecchia», cattiva, ed «Europa giovane», buona, configuravano una sorta di special relationship tra americani e est-europei che culminò nei piani di scudi spaziali estesi alla Polonia e alla Repubblica cèca e che è sostanzialmente condivisa dall’attuale amministrazione democratica.

Qualcuno può onestamente pensare che i russi non si sarebbero preoccupati e non avrebbero studiato contromisure? Anche chi non ha la benché minima simpatia per Vladimir Putin può comprendere la preoccupazione con cui l’autocrate guardò al vertice Nato di Bucarest dell’aprile 2008, in cui su richiesta di Washington si doveva discutere della possibile adesione dell’Ucraina e della Georgia. Non se ne fece niente perché alcuni governi europei, quello tedesco in testa, rifiutarono di seguire gli americani. Ma a Mosca ancora dev’essere ben vivo lo shock del pericolo corso.

Il riconoscimento degli errori dell’Occidente dovrebbe spingere a considerare più oggettivamente le ragioni di chi invita a diffidare degli entusiasmi pro Unione europea e pro Usa di un movimento in cui accanto a sacrosante domande di libertà non mancano spinte nazionaliste e fascisteggianti, tanto antirusse quanto antipolacche e antisemite e del tutto estranee ai valori democratici dell’Europa e degli Stati Uniti, a cominciare dalla non violenza. L’Ucraina è un paese dall’identità complicata e intimamente confusa, in larghe parti, con quella russa. Le semplificazioni eccessive potrebbero sfociare nella dissoluzione del Paese. Con i rischi di instabilità che ne deriverebbero.

L’Unità 22.02.14