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Ma perché il merito vale solo per le donne?" di Fiorenza Sarzanini

Otto donne su sedici ministri, la metà esatta. Nasce così il governo guidato da Matteo Renzi. Ed è la prima volta che accade. Ma le consuetudini sono evidentemente difficili da superare e quando si arriva ad esaminare la componente femminile il livello di critica inevitabilmente si alza. I giudizi si fanno taglienti, addirittura sprezzanti. Soprattutto ci si sofferma sulla mancanza di esperienza di alcune, sull’incapacità (presunta) delle altre. Con la convinzione, neanche troppo velata, che siano state scelte per una questione di immagine, per ottenere un risultato politicamente corretto.

L’Italia sta attraversando un momento difficile a causa della crisi economica, la questione dei marò ci ha esposti anche dal punto di vista internazionale. Nessuno è disponibile a concedere cambiali in bianco, tanto meno ad un governo nato con una «manovra di palazzo». Ma non si capisce perché,aprioristicamente, l’eventuale fallimento dovrebbe essere determinato — come già qualche analista prevede — dal fatto che «le ministre» non hanno (o non avrebbero?) le competenze giuste.

Perché questo criterio non viene applicato anche per giudicare i loro colleghi? Come mai questa necessità di meritocrazia viene auspicata soltanto quando si tratta di donne?

Se riguardo ad una nomina ci sono sospetti di «anomalie» è giusto che ciò venga espresso, ma non si può essere intransigenti a priori, tantomeno prevenuti.

Dirà il tempo se Federica Mogherini sia davvero in grado di guidare un ministero strategico come la Farnesina. Ma lo stesso vale per Andrea Orlando, chiamato a gestire una materia difficile e complessa come quella della Giustizia. Analogo discorso si può fare per Maria Elena Boschi o Marianna Madia, così come per Maurizio Martina o Gian Luca Galletti.

Tutti i sedici ministri possono essere criticati. È legittimo, è giusto esprimere delle riserve e chiedere all’intero esecutivo di mostrarsi all’altezza della situazione. Ma questo — è evidente — deve avvenire a prescindere dal sesso dei componenti.

Non è questione di quote o controquote: solo di buon senso e di qualità della politica. A meno che non si pensi, senza avere il coraggio di dirlo, che il solo fatto di affidarsi a una donna offra meno garanzie, suscitando così maggiori diffidenze. Come se, fino a quando non si è posta la questione delle pari opportunità, il merito fosse stato la regola di questo Paese.

www.corriere.it

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“Ora si sciolga il nodo delle pari opportunità”, di FRANCESCA IZZO

La formazione del nuovo governo segna un passaggio di rilievo nella vicenda politica italiana. Viene riconosciuto e sancito con la presenza di 8 ministre su 16 (tutte alla testa di ministeri importanti) il principio della parità di genere.

Dopo l’elezione di un Parlamento con il maggior numero di donne e di giovani della storia della Repubblica, dopo la formazione del governo Letta che dava grande spazio alle competenze femminili, siamo ora alla sua piena sanzione.

È stata così inaugurata una prassi che renderà difficile, se non impossibile, aggirare tale principio in futuro. È il frutto della forza e della tenacia con cui donne, appartenenti alle più varie organizzazioni, gruppi, associazioni, si sono battute in questi ultimi anni per raggiungere questo risultato. E chi ha condiviso, come me, la responsabilità della mobilitazione il 13 febbraio di tre anni fa delle donne italiane, in difesa della dignità calpestata e per l’uscita da uno stato di passiva marginalità, non può che esserne soddisfatta. Nel giro di pochi anni è stato compiuto un percorso notevole.

Ora può cominciare una fase nuova, certo non semplice ma coinvolgente. Non è stato previsto un ministero delle pari opportunità come accade invece in altri paesi, Francia e Spagna ad esempio, che hanno governi paritari.

Questa assenza rischia di rendere meno incisiva, più neutra l’azione del governo, per un altro verso potrebbe però stimolare l’intera compagine governativa ad acquisire quell’ottica di genere indispensabile per attivare l’enorme potenziale femminile di cui l’Italia dispone.

Spetta innanzitutto alle nuove ministre tenere costantemente presente le prospettive e le ricadute di genere nella loro azione, nelle politiche che perseguiranno.

La vita delle donne italiane, la loro quotidianità, dovrà percepire sensibilmente i benefici di questo cambiamento, di queste presenze ai vertici dello Stato.

A questo scopo sarebbe opportuno più che un sottosegretariato, la creazione, presso la presidenza del Consiglio, di una figura, con ridotto ma qualificato staff, che coordini, monitori, segua l’iter e valuti l’impatto delle leggi e provvedimenti volti a superare il gap di genere nel nostro Paese.

L’Unità 23.02.14