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"Il disastro del lavoro. Spariti 478 mila posti", di Luigi Grassia

Il 2013 del lavoro è stato un disastro e anche l’avvio del 2014 porta solo cattive notizie: la ripresa non si vede. I numeri diffusi ieri dall’Istat dicono che l’anno scorso è stato perso quasi mezzo milione di posti di lavoro, si è registrata una media mensile di 3,1 milioni di disoccupati e la quota di senza lavoro fra i giovani al Sud ha superato il 50%. Nessuna inversione di tendenza a gennaio 2014 con il numero dei disoccupati che cresce a 3,3 milioni.

Il record dal 1977

Il tasso della disoccupazione a gennaio ha toccato il massimo da quando si registrano le serie storiche mensili (2004) e le serie trimestrali (1977): adesso siamo al 12,9% in crescita di 0,2 punti su dicembre e di 1,1 punti su gennaio 2013.

I disoccupati conteggiati nel mese sono 3.293.000, più che raddoppiati rispetto a gennaio 2007 (1.513.000) quando la crisi non era ancora cominciata. Quanto al tasso di occupazione (cioè la percentuale degli occupati) scende al 55,3%, un numero basso rispetto alla media europea. Fra i giovani la disoccupazione vola al 42,4%.

Il 2013 l’anno peggiore

L’anno scorso gli occupati sono diminuiti di 478.000 unità rispetto al 2012 (-2,1%), un dato peggiore anche di quello del 2009 che finora risultava il momento più nero della crisi. E’ Calata soprattutto l’occupazione maschile (-350.000) mentre l’occupazione femminile è scesa dell’1,4% (-128.000 unità). Fra il 2008 e il 2013 l’economia italiana ha perso quasi un milione di posti di lavoro (984.000).

Al lavoro sempre più vecchi

Nel 2013 il calo degli occupati è dovuto soprattutto al crollo dell’occupazione giovanile (482.000 occupati in meno tra i 15 e i 34 anni) e della fascia centrale (-235.000 unità tra i 35 e i 49 anni) mentre la fascia più anziana guadagna terreno (+239.000 gli over 50). Il tasso di disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni arriva al 40% con un picco del 51,6% nel Sud (e del 53,7% le giovani donne nel Mezzogiorno).

Industria e costruzioni

Nel 2012 l’occupazione nell’industria in senso stretto diminuisce di 89.000 unità (-1,9%). Si accentua la flessione nelle costruzioni (-163.000 unità pari a un -9,3%). I posti di lavoro si riducono anche nel terziario (-1,2% cioè 191.000 unità in meno) con cali soprattutto nella pubblica amministrazione e nel commercio.

Gli scoraggiati

Crescono in maniera sostenuta (+11,6%) coloro che rinunciano a cercare lavoro perché pensano di non trovarlo (i cosiddetti scoraggiati) arrivati in cifre assolute a 1.790.000. L’incidenza della disoccupazione di lunga durata (12 mesi) sale al 56,4 per cento nel 2013.

Inflazione a gennaio -0,1%

Ieri l’Istat ha dato anche i numeri dell’inflazione, che purtroppo vanno nello stesso senso di quelli dell’occupazione, cioè ci dicono che la crisi è grave e non è finita. A febbraio l’inflazione su base annua frena in maniera ancora più decisa del recente passato: l’indice dei prezzi risulta in crescita di appena lo 0,5% (da paragonare con lo 0,7%, di gennaio). È il valore più basso da ottobre 2009. Su base mensile, cioè nel confronto fra gennaio e febbraio 2014, l’indice è addirittura in calo (-0,1%) e questo rafforza il timore della deflazione. Di solito un calo dei prezzi è una buona notizia ma non lo è per niente se è dovuto al regresso generale dei consumi; e purtroppo è questo il caso dell’Italia nel 2014. È un circolo vizioso: meno consumi, meno crescita, meno consumi eccetera. L’Istat sottolinea la diminuzione mensile dell’indice dei prezzi dei vegetali freschi (-4,6%) e della frutta fresca (-1,0%). In discesa anche i carburanti: dalla benzina (-0,5% su gennaio e -3,6% sull’anno) al gasolio per i mezzi di trasporto (-0,6% sul mese e -3,4% in termini tendenziali).

La Stampa 01.03.14

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Taddei: “Subito le tutele per i lavoratori a progetto. Impossibile sostenere tutti”

Taddei, fino a ieri la politica ci ha raccontato la favola secondo la quale la crisi è alle nostre spalle, poi arrivano i dati sulla disoccupazione e ci raccontano un altra verità. Lei che ne pensa?
«Nell’ultimo trimestre dell’anno si è certamente arrestata la caduta del prodotto. Ma l’esperienza nei Paesi sviluppati mostra che dopo la fine di una recessione passano sei-nove mesi prima che l’occupazione riparta».
Significa che prima di giugno la situazione non migliorerà. È così?
«E’ lo scenario più probabile. Questa è la ragione per la quale occorre intervenire con urgenza per l’allargamento delle tutele dalla disoccupazione. Faccio notare che nell’ultimo anno hanno perso il lavoro 330mila persone. Di queste, 140mila sono lavoratori atipici con sussidi minimi o pari a zero».
Renzi ha promesso un pacchetto lavoro pronto per il primo vertice con Angela Merkel fra due settimane. Da dove inizierete? Ci sarà anche il contratto unico?
«Il primo passo è dare tutele a chi oggi non le ha, poi stimolare l’economia con la riforma fiscale. Solo allora parleremo di forme contrattuali».
Nel suo progetto c’è l’allargamento della tutela dalla disoccupazione dei lavoratori atipici. Ma quanto costerà davvero? Secondo alcuni ci vorrebbero miliardi.
«Come sempre i costi dipendono dall’ampiezza di una riforma. Noi pensiamo che l’attuale Aspi (il mini-sussidio garantito dalla riforma Fornero, ndr) possa essere esteso ai lavoratori a progetto e allungata nella copertura con una spesa comparabile alla somma dell’Aspi e della cassa integrazione in deroga».
Quindi non ci sarà la cosiddetta universalizzazione delle tutele. Non è così?
«No, ma coprirà molti più lavoratori di oggi. La platea dei potenziali beneficiari si allargherebbe di oltre trecentomila lavoratori attualmente sprovvisti di una vera protezione dalla disoccupazione».
Parliamo ora della riforma fiscale. La sensazione è che non abbiate ancora deciso se privilegiare un taglio corposo dell’Irap – ve lo chiedono le imprese – o quello dell’Irpef, caldeggiato dai sindacati. Per fare entrambe le cose le risorse non ci sono. Dunque?
«L’unica cosa che non possiamo fare è un mini-taglio: rischieremmo di spendere i soldi dei contribuenti senza ottenere effetti significativi sulla crescita».
Le imprese sostengono che un taglio visibile dell’Irap costerebbe meno ed avrebbe un impatto più rapido sull’economia. Lei che ne pensa?
«Non si può dire che costerebbe meno in sé, ma è ragionevole pensare che avrebbe un effetto più veloce sul costo del lavoro. Ciò detto i lavoratori di questo Paese si aspettano un miglioramento delle proprie buste paga attraverso una riduzione dell’Irpef. Questo è il dilemma sul quale ci stiamo interrogando».
Dalla revisione della spesa quest’anno avrete nella migliore delle ipotesi sei miliardi di euro. Il resto arriverà dall’aumento dell’imposta di tutte le aliquote finanziarie?
«Anche su questo è in corso una riflessione. Certo è che l’obiettivo complessivo è la riduzione della pressione fiscale partendo dalle tasse sul lavoro».
Renzi ha ipotizzato uan tassazione diversa solo per alcuni prodotti finanziari. Ci può spiegare meglio cosa significa?
«Il tema è molto delicato, le posso dire solo che stiamo valutando le opzioni possibili».
Contate anche su un po’ di flessibilità nel rispetto del deficit da parte dell’Europa? Di questo Renzi parlerà con la Merkel?
«Dalla Germania ci aspettiamo rispetto per gli sforzi che ci apprestiamo a fare. La logica dovrebbe essere quella degli accordi contrattuali, potenzialmente la più importante innovazione dell’architettura istituzionale europea».
Un’innovazione congelata, per il momento: di accordi contrattuali se ne parlerà solo dopo le europee. Ma il capo dell’Eurogruppo Dijsselbloem ha ipotizzato un generico scambio flessibilità-riforme. Stiamo parlando di questo?
«Sui dettagli vedremo come evolverà il dibattito. Quel che conta è il principio: sostegno da parte delle istituzioni europee in cambio di riforme. Non chiediamo solidarietà pelosa, ma cooperazione europea».

La Stampa 01.03.14