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"Il Bastone dello Zar", di Franco Venturini

Ora lo riconosciamo, Vladimir Putin. Non è più quello edulcorato che voleva a tutti i costi chiudere in bellezza i Giochi di Sochi. Non è più nemmeno quello silenzioso dei giorni seguenti. Ora la pianificazione è finita, e il giocatore di scacchi che è in lui ha elaborato una strategia consona alle tradizioni russe: sarà l’uso della forza a raccogliere la sfida ucraina e a far sapere, a Kiev come alle capitali d’Occidente, che nulla può essere fatto in Ucraina senza tener conto degli interessi della Russia.
In verità questo ben pochi lo ignoravano, e può far testo l’insistenza con la quale Angela Merkel ha tentato di coinvolgere il Cremlino nella mediazione condotta con poca fortuna dagli europei. Ma una mano tesa per riparare alla micidiale sconfitta di piazza Maidan a Putin non poteva bastare. E allora ecco che soldati senza insegne ma troppo disciplinati e ben equipaggiati per non essere russi si impadroniscono delle infrastrutture strategiche della Crimea. Sono usciti dalla base navale di Sebastopoli, oppure sono giunti dalla Russia mentre Putin concordava con i suoi interlocutori occidentali che l’integrità territoriale dell’Ucraina va salvaguardata? Ormai poco importa, perché Putin ha impugnato un bastone più grosso: si è fatto autorizzare dal Senato di Mosca l’invio in Crimea di altri soldati, senza tuttavia decidere subito il loro trasferimento.
Pare seguire una tattica da manuale, Vladimir Putin. Mostrarsi duro nella tutela dei compatrioti e della flotta di Crimea perché l’opinione interna russa non gli perdonerebbe una esibizione di debolezza, tanto meno in Ucraina. Lasciare però in sospeso il secondo intervento tenendolo a disposizione (per poco) come carta negoziale. E nel frattempo mobilitare le popolazioni russofile dell’est e del sudest dell’Ucraina, come difatti è accaduto ieri, in modo da poter sostenere che gli «estremisti» di Kiev sono isolati.
Ma il punto è che le acrobazie di Putin, per quanto brillanti, non possono nascondere la distanza che separa una rivolta popolare da un intervento armato. Non possono mascherare quella che da parte russa è una reazione ampiamente prevedibile, ma non per questo meno inaccettabile. Putin pensa di ripetere la Georgia del 2008, di mandare le sue forze oltre la Crimea? Sarebbe un temerario se lo facesse, scatenerebbe una guerra civile dalla quale dovrebbe poi districarsi. Favorirà l’indipendenza della Crimea, la sua secessione? È possibile. Ma è più probabile che mentre muove le truppe aspetti al varco una Ucraina sull’orlo del default , alla quale Mosca può ritirare aiuti e sconti sul gas. Nessuno in Occidente, pensa Mosca, vorrà pagare un conto di 35-40 miliardi di dollari nei prossimi due anni. Questa è la vera, la più potente arma di Putin. Ora tocca all’Occidente raccogliere la sfida.

Il Corriere della Sera 02.03.14