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“Subito il commissario contro la corruzione", di Matteo Renzi

Caro Roberto, venerdì mattina, mentre leggevo dalle pagine di Repubblica il tuo articolo appassionato, ho pensato subito alle ragazze e ai ragazzi che ho conosciuto nel mio viaggio nella Terra dei Fuochi. O nei campi sottratti alla criminalità che ho visitato da amministratore, da Canicattì a Corleone, e — insieme a loro — alle tante persone perbene che hanno scelto, “nelle terre di mafia” di fare comunque la propria parte.
Questo meraviglioso esercito di piccoli grandi eroi civili, che abbiamo imparato a conoscere anche grazie ai tuoi racconti, lavora nelle associazioni e nei movimenti contro le mafie; sono gli imprenditori e i negozianti che hanno denunciato le estorsioni rinunciando per sempre a una vita normale; gli scrittori; i giornalisti-giornalisti, per citare la nota scena di Fortàpasc,
la bellissima pellicola che racconta della storia di Giancarlo Siani; gli studenti che coltivano le terre confiscate ai mafiosi, i familiari delle vittime innocenti; le forze di polizia che combattono quotidianamente una battaglia di tutto il Paese.
Ognuno di loro sa perfettamente che non basterà il proprio impegno per vincere la battaglia contro le mafie, eppure ci provano lo stesso. Lo fanno per non rassegnarsi, proprio come fanno associazioni come Libera, a chi dice che tanto mai nulla potrà cambiare. So che tu, insieme a tutte queste persone, vi aspettate che la lotta alla criminalità organizzata diventi per davvero la priorità del governo e delle Istituzioni. Questo impegno io lo assumo.
TUTTI COLORO CHE HANNO INDAGATO SULLE MAFIE,
che le hanno osservate, studiate e raccontate al mondo, tutti i magistrati, i giornalisti e quei politici, che hanno anche perso la vita per combatterle, ci hanno spiegato che il cuore delle organizzazioni criminali è negli affari che conducono, nelle ricchezze che accumulano e ostentano e anche in quel confine sottile, sottilissimo, che esiste tra lecito e illecito con l’appoggio, con il consenso, con la collusione e qualche volta semplicemente con il silenzio di chi riveste ruoli di responsabilità nella politica, nelle amministrazioni e nell’economia. Sono questi i legami che dobbiamo smascherare e recidere. Faremo un lavoro serio e puntiglioso, insieme alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia, non solo per capire che cosa sia avvenuto in questi anni nel contesto della crisi economica che ha investito il Paese ma soprattutto per adottare le misure necessarie sul piano legislativo e amministrativo. Con una proposta organica sulla base del lavoro fatto dalla commissione presieduta da Garofoli istituita a Palazzo Chigi, con Cantone e Gratteri, per elaborare strumenti e contributi per rendere più incisiva la lotta alla criminalità organizzata.
Quello che va aggredito, hai ragione, è la «Mafia SpA», presente in ogni comparto economico e finanziario del Paese, al Sud come al Centro-Nord, quell’economia criminale che colpisce imprese e società al collasso, come conferma l’analisi della Direzione Nazionale Antimafia.
E questo fenomeno è favorito anche dalla consapevolezza, da parte degli appartenenti alle organizzazioni criminali, di non rischiare molto sul piano penale, anche perché nel nostro codice penale manca il reato di autoriciclaggio. Il paradosso di un estorsore o uno spacciatore di droga che non viene punito se da solo ricicla o reimpiega il provento dei suoi delitti sarà superato con assoluta urgenza attraverso l’introduzione del delitto di auto riciclaggio.
In questo senso, aggredire i patrimoni mafiosi può essere una delle grandi risposte che il governo è in grado di dare, dal punto di vista economico, per fronteggiare la crisi. Una giustizia più veloce, più efficace da questo punto di vista, è uno degli strumenti che possiamo mettere in campo come Paese per uscire dalla situazione economica in cui ci troviamo.
COSÌ COME OCCORRE RIPENSARE LO STRUMENTO DELLA CERTIFICAZIONE antimafia, che troppo spesso e con troppa facilità si riesce ad aggirare; è necessario, in questo senso, introdurre sistemi di controllo che consentano di individuare la provenienza dei capitali illeciti, anche per debellare il fenomeno dei “prestanome”, ma sburocratizzando il più possibile quest’attività per evitare che diventi un inutile aggravio per gli imprenditori onesti. E’ urgente porre il tema della riforma dell’Agenzia Nazionale Beni Confiscati che oggi è senza capacità di agire con immediatezza ed efficacia: una specie di “carrozzino” pubblico senza mordente, senza strumenti efficaci. Solo nell’ultimo anno i sequestri ammontano a oltre 4 miliardi e le confische a 1 miliardo e mezzo. Bisogna restituire ai cittadini quanto i clan hanno loro sottratto, impiegando quelle risorse, con una logica che deve essere quella di una moderna politica dell’antimafia, e cioè per produrre occupazione e sviluppo. E, per far questo è necessario anche assicurare alle aziende confiscate agevolazioni fiscali e creditizie; un’impresa sottratta alle mafie che fallisce è una sconfitta che lo Stato non dovrà più permettersi.
LE MAFIE S’INFILTRANO NEGLI ENTI LOCALI e ne condizionano l’andamento, a danno dei cittadini, al Sud come al Nord, solitamente lasciando paurosi dissesti.
Per questo nei prossimi mesi interverremo anche sul tema dello scioglimento dei consigli comunali: la modifica del 2009 ha affrontato solo alcuni degli aspetti problematici
della disciplina: bisognerebbe, invece, agire su più fronti ancora. In particolare, è necessaria l’individuazione e la scelta dei commissari fra soggetti anche esperti di management e di gestione aziendale, prevedendo che questi debbano svolgere il loro incarico a tempo pieno e che possano operare anche in deroga alle regole del patto di stabilità per rilanciare l’attività di governo degli enti sciolti e soprattutto bonificare, dove necessario, le strutture burocratiche inquinate; andrà prevista la possibilità di sciogliere le società private ad integrale partecipazione degli enti locali o quelle miste e un obbligo protratto per un certo periodo di utilizzare la stazione unica appaltante dopo l’uscita dal commissariamento.
Anche per le regioni andrà studiata una normativa che eviti i rischi di infiltrazione mafiosa, ovviamente nel rispetto delle loro prerogative di autonomia riconosciute dalla Costituzione.
Un’altra emergenza, strettamente connessa a quelle delle mafie, pure da affrontare — come ci ha di recente ricordato l’Unione europea — è la corruzione il cui costo ammonta a 60 miliardi di euro ogni anno, pari al 4% del Pil italiano, circa metà dei danni provocati in tutta Europa. Una cifra enorme. Per questo è fondamentale dare piena attuazione alle legge 190 del 2012 e a tutte quelle norme in tema di prevenzione e trasparenza in essa previste; su questo fronte di impegno a nominare immediatamente, a partire già dai prossimi giorni, il Commissario anticorruzione, come previsto dalla stessa legge.
IN UNA LOGICA DI CONTRASTO INTELLIGENTE ALLE ILLEGALITÀ,
dovremo anche saper guardare alle vittime per organizzare l’intervento dello Stato a loro sostegno: familiari di vittime innocenti, testimoni. Mai più la sensazione di essere stati lasciati soli dallo Stato dopo aver denunciato!
In questa stessa prospettiva dobbiamo assicurare, col massimo rigore, protezione a chi offre un contributo di giustizia per offrire all’autorità inquirente i migliori strumenti legislativi per sfruttare questo contributo.
Così come dovremmo assicurare vicinanza, sostegno, a chi come te, ha fatto della parola uno strumento di libertà e di cambiamento: penso ai tanti giornalisti minacciati, spesso precari, troppo spesso lasciati completamente soli.
In definitiva, dovrà essere chiaro che per il nostro Paese le mafie sono violenza, sopraffazione e povertà. Un punto solidissimo, chiaro, come quello che questa battaglia si combatte a partire dalla scuola, dal lavoro fatto dai nostri insegnanti negli istituti come antidoto alla criminalità organizzata, a una cultura, anzi ad una incultura delle mafie. Porterò questi temi anche sui tavoli del semestre europeo che si apre tra qualche mese, perché la mafia non è più solo un problema italiano. C’è tanto lavoro da fare. Un lavoro fondamentale, hai ragione Roberto. E io lo farò facendo mio il grido rivoluzionario di un parroco di provincia anche a te molto caro, Don Peppe Diana:“per amore del mio popolo, non tacerò”. Accorciare le distanze tra quel che di buono è stato fatto e il tanto che ci resta ancora da fare sarà il modo migliore per ricordare con don Peppe, con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tutte le vittime innocenti delle mafie, ma anche quelle ragazze e quei ragazzi che non hanno scelto dove nascere, ma che hanno scelto di restare, di cambiare la loro terra e di renderla migliore.

La Repubblica 02.03.14