attualità, politica italiana

"Per le riforme ci vuole un metodo", di Ugo De Siervo

Questa settimana sapremo finalmente se la proposta di modificare il nostro sistema elettorale va davvero avanti, come sarebbe certamente auspicabile. Ma alcune delle tante difficoltà che la proposta sta incontrando dovrebbero far riflettere Matteo Renzi su alcune evidenti debolezze progettuali.

Proprio lui, che si è speso in prima persona per questa importante innovazione, così come per le due riforme costituzionali collegate (bicameralismo e modifica del riparto dei poteri fra Stato e Regioni) che dovrebbero caratterizzare ciò che resta di questa legislatura.

Non vi sono, infatti, solo importanti contrasti «politici» sulla soglia di voti richiesta al partito più votato per far scattare il premio di maggioranza (35%, 37%, 40%?), o per prevedere o no la possibilità di esprimere un voto di preferenza, o per rinviare l’efficacia della legge al momento in cui non esisterebbe più l’attuale Senato, ma pure tutta una serie di carenze ed imperfezioni del testo legislativo che – così com’è attualmente – lo renderebbero praticamente inefficace.

Questa situazione evidenzia il problema, serio e più generale, che finora è mancata una regia adeguata alle politiche istituzionali, così come è già emerso con il «pasticciaccio» delle Province, là dove la fretta di anticipare una futura possibile riforma costituzionale con interventi legislativi ordinari ha prodotto solo una situazione di grande confusione e alcuni danni sicuri, mentre nel frattempo si sarebbe potuto procedere tranquillamente (se davvero convinti) ad una loro eliminazione con una modifica costituzionale.

Se, infatti, il nuovo sistema elettorale è, in un modo o nell’altro, collegato alle scelte che si vogliono fare a livello di assetto del nuovo Senato, i poteri e la composizione di quest’ultimo non possono che scaturire dalle scelte che vanno fatte in tema di rapporti fra lo Stato e le Regioni. Ma allora è evidente che tutto ciò va attentamente pensato in una visione unitaria e poi realizzato con adeguata coerenza.

Non a caso, nel recentissimo incontro con la stampa l’attuale presidente della Corte Costituzionale ha chiaramente insistito sul fatto che l’abnorme crescita della litigiosità fra Stato e Regioni potrà essere fermata non dalla sola indispensabile semplificazione dei criteri di suddivisione delle responsabilità fra queste istituzioni, ma dalla contemporanea creazione di autorevoli «luoghi istituzionali di confronto, allo scopo di restituire alla politica mezzi più efficaci per governare i conflitti centro-periferia». E naturalmente si è ricordato che in tutti i maggiori ordinamenti regionali e federali esiste una seconda Camera rappresentativa delle articolazione territoriali, pur nella diversità dei modelli realizzati.

E’ urgente quindi passare ad una organica e coerente progettazione istituzionale, che possa guidare con efficacia i lavori parlamentari di revisione di due parti della Costituzione, possibilmente con un lavoro contemporaneo nelle Camere sui diversi disegni di legge di revisione, se si vuole davvero risparmiare tempo (almeno in astratto, nelle aule parlamentari si potrebbe far tutto in sei mesi).

Destinata a più che probabile fallimento sarebbe, invece, la riemersione della vecchia proposta di cercare di risolvere il problema nominando un’apposita Assemblea Costituente, incaricata di modificare la seconda parte della nostra Costituzione: infatti vi sarebbero naturali reazioni e diffidenze verso una proposta che vorrebbe eliminare la necessità di maggioranze qualificate, con la conseguente possibilità di poter cambiare in modo agevole ben altro oltre i due temi specificamente urgenti. Non bisogna, infatti, mai dimenticare che nella seconda parte della Costituzione si disciplina anche il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo, il potere giurisdizionale, la Corte Costituzionale, ecc. Una proposta del genere susciterebbe tali e tante reazioni che nell’esame del relativo disegno di legge di revisione costituzionale quanto meno si consumerebbe inutilmente tutto il tempo che potrebbe essere sufficiente per le due modifiche costituzionali urgenti.

La stampa 03.03.14