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"Un grave rischio per l’Europa", di Silvio Pons

La crisi in Ucraina era ampiamente annunciata da molto tempo. Non da mesi ma a anni. Le sue radici stanno nella dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991. Nell’ultimo decennio del secolo scorso, la nascita di uno Stato indi- pendente ucraino non è stata basata su un adeguato sistema di equilibri internazionali tra l’Europa e la Russia. Per oltre un decennio, l’Ucraina ha vissuto una tormentata transizione economica e politica, seguendo un modello di democrazia autoritaria non molto diverso da quello russo, anche se con modalità più pacifiche.

La «rivoluzione arancione» del 2004 ha rappresentato il punto di arrivo di un’onda lunga del crollo del comunismo, rivelando una genuina spinta democratica e riformatrice dal basso. Tuttavia ha anche avuto seri limiti. Non ha prodotto un’autentica stabilizzazione politica, non ha ricomposto le fratture esistenti nel paese e ha fatto anzi emergere rilevanti tendenze nazionaliste.

Da allora l’Ucraina è rimasto un paese frammentato e conflittuale al suo interno, oltre che privo di un chiaro riferimento internazionale. Salvo il legame con la Russia consolidato dagli scambi economici ed energetici e dalla presenza militare russa in Crimea (in base agli accordi post-1991 tra i due paesi, che consentivano a Mosca di mantenere la flotta a Sebastopoli e confermavano l’inclusione della penisola in territorio ucraino, decisa da Chruscev). Un paese sicuramente più complesso di come spesso lo si descrive, perché l’idea che esista una totale spaccatura tra est e ovest come blocchi contrapposti non corrisponde alla realtà e perché le differenze linguistiche e culturali non corrispondono necessariamente a differenze politiche. E tuttavia, una nazione divisa e oscillante tra l’attrazione dell’europeizzazione e l’influenza russa. Come si è visto bene nella protesta di piazza esplosa lo scorso novembre che ha portato alla fuga del capo dello Stato Yanukovich, vincitore delle elezioni nel 2012 ma anche noto per il suo esercizio corrotto, arbitrario e autoritario del potere. Senza dubbio, lo scontro in atto non è soltanto un aspro e sanguinoso conflitto politico. È una lotta per l’anima dell’Ucraina, che perciò oggi rischia una guerra civile.

Come è possibile che la prevenzione di questa crisi annunciata sia stata così inconsistente? Tutti gli attori internazionali ne portano la responsabilità. L’Unione Europea è sempre un facile bersaglio quando si parla di politica estera, ma in questo caso la sua mancanza di preveggenza ha del clamoroso. L’allargamento a Est ha creato un confine rispetto all’Ucraina e alla Russia, ma nel contempo è rimasto uno scenario rivolto a includere l’Ucraina ed escludere la Russia, sotto l’impulso soprattutto del- la Polonia. Il negoziato sul trattato di associazione per l’Ucraina si è svolto ignorando la Russia, ma nello stesso tempo costituisce un impegno debole e reversibile. La politica degli Stati Uniti appare priva di incisività. La presenza della Nato a Est non è soltanto una permanente fonte di tensione con la Russia ma anche un’arma spuntata e controproducente sulla scena ucraina.

La Russia rivendica legittimamente i propri interessi in Ucraina, ma la sua presenza ha costituito una fonte di destabilizzazione di assetti interni già di per sè fragili. Ciò che più colpisce è l’incapacità russa di esercitare un’egemonia sufficientemente accettata, pur disponendo di mezzi economici decisamente superiori a quelli che l’occidente possa (e voglia) offrire. Putin ha in mano una carta più forte di quelle in possesso dell’occidente nell’ambito del soft power, a differenza dell’Unione Sovietica nell’Est europeo un quarto di secolo fa. Ma ne dispone soltanto come strumento di ricatto e condizionamento. Così il risultato non cambia. L’influenza russa viene percepita da componenti fondamentali della società ucraina come il contrario di una prospettiva democratica.

Come è evidente, la situazione nel paese ha già ampiamente varcato la soglia critica. La presenza di due autorità che rivendicano la legittimità del governo, una delle quelli fuggita in territorio russo (Yanukovich), il massiccio intervento in corso di milizie russe in Crimea, l’autorizzazione parlamentare ottenuta da Putin di inviare ulteriori truppe per salvaguardare gli interessi russi (e insieme la popolazione di etnia russa) nella penisola, non lasciano molto spazio all’ottimismo. Si può davvero immaginare l’internazionalizzazione di una guerra civile combattuta da schieramenti inevitabilmente semplificati, filo russo e filo-occidentale? La rottura dell’integrità territoriale dell’Ucraina? Lo smembramento della Crimea e la sua annessione alla Russia? Tutto ciò sembrava impensabile, oggi non lo è più. Qualcuno ha chiamato in causa il ritorno della guerra fredda. Ma ovviamente la guerra fredda non c’entra niente, se non per il suo retaggio negativo sulle transizioni dell’Europa orientale. Non soltanto perché la politica di potenza ha soppiantato qualunque motivazione ideologica. Ma perché siamo dinanzi a un conflitto difficile da contenere e imprevedibile nei suoi esiti. Se non sarà scongiurato nelle prossime ore, il conflitto armato potenzialmente più disastroso che si sia visto in Europa dalla seconda guerra mondiale a oggi.

L’Unità 03.03.14