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Tullio De Mauro ricorda Mario Lodi: "Addio al maestro che giocava"

Il bambino impara giocando da quando nasce”, scriveva Mario Lodi, il maestro elementare, che ieri si è spento a 92 anni. “I suoi strumenti sono i sensi e la mente”, proseguiva introducendo, con molta semplicità, in una rivista per insegnanti, un bell’articolo di Luciana Bertinato sull’apprendimento di concetti scientifici nella scuola elementare. “Con i primi raccoglie i dati della realtà: i rumori, le forme, il tepore del seno materno, il sapore del latte, gli odori della casa, i colori, le voci. Con la mente confronta, riflette, ricorda. Conserva le sensazioni in ripostigli segreti dove possono restare per tutta la vita. Il suo metodo è corretto perché raccoglie dati, li confronta, li seleziona, formula ipotesi, le verifica, ricava sintesi. Restituiamo ai bambini la possibilità e il piacere di scoprire – giocando – concetti scientifici e abilità tecniche che li aiutino ad ampliare la loro cultura”.

La sua meta è indubbia: aiutare i bambini e le bambine a conquistare i concetti più astratti e potenti. La via però non è quella, ancora non scomparsa, di un insegnamento fondato sulla memorizzazione e ripetizione di formule. Una via migliore è passare ad apprendimenti attraverso il gioco, attraverso le “sensate esperienze” (diceva Galilei) e le conseguenti riflessioni cui i giochi danno luogo, anche grazie a chi insegna. A chi sa sostituire il ripetere con una ricerca sempre nuova. E questo dovrebbe valere ben oltre la prima scuola.
Ho incontrato la prima volta Mario Lodi nel 1967 a Urbino e nel 1968 a Pordenone per i seminari estivi del Movimento di Cooperazione Educativa. Ma come un babbeo non me n’ero accorto. Devo a Giorgio Pecorini il primo incontro consapevole con Lodi e con l’editore Luciano Manzuoli. Nel 1970 Pecorini curava una serie di trasmissioni televisive intitolate “Processo a…”. E come imputato scelse una volta i libri di testo. Si scatenarono discussioni infuocate.

Eravamo seduti in un emiciclo a gradinate. In alto, quasi in disparte, se ne stava Lodi. Non partecipava al trambusto e tuttavia seguiva con attenzione. Parlò poco, molto tranquillo. Non propose tesi. Senza enfasi raccontò che cosa faceva, come partiva con le sue allieve e i suoi allievi da ricerche in tante direzioni, coinvolgendo nella vita della classe di volta in volta altri che avessero più esperienze e conoscenze e costruendo con loro e con gli alunni i materiali scritti, i testi da ricordare e rimeditare. Non disse che quella fosse la via unica e più giusta, disse che a Vho di Piadena seguivano quella via, che era una via possibile e che a percorrerla si arricchivano di esperienze vive e di conoscenze vissute sia il maestro sia gli alunni.
Una grande forza di Lodi è stata anche saper raccontare. Raccontare le cose concrete, precise, puntuali che ha fatto con le alunne e gli alunni nelle sue classi, dalla prima alla quinta, tante volte negli anni. Ci mostra una via. È questa la enorme forza dei suoi diari didattici e dei giornalini dei suoi alunni, dal Paese sbagliato a Il mondo. Ed è stata la forza dei libretti della “Biblioteca di lavoro” che ha pubblicato con Luciano Manzuoli, uno di quei gloriosi fallimenti che costellano la storia dei testi per la nostra scuola.

Talvolta qualcuno è riuscito a costringerlo a dichiararsi, a mettere in tavola le carte del suo pensiero, dei principi cui si ispira nella sua pratica. Sono nati così due libri anch’essi preziosi: per Einaudi, Cominciare dal bambino (1977), e, per i Libri di base degli Editori Riuniti, Guida al mestiere di maestro (1982). Ma anche in questi Lodi affida il meglio delle sue idee a presentare casi concreti e procedimenti didattici. Anche se si costringe a rivelare tante sue fonti, Bruno Ciari, Santoni Rugiu, Piaget, Bruner, Vygotskij, Rodari, Freinet, le fonti maggiori restano da un lato un’acuta, attenta rilettura della nostra Costituzione e dall’altra l’osservazione e rendicontazione delle sue esperienze didattiche.

Da queste Lodi non ha mai voluto staccarsi. Dall’università, che pure gli ha dato qualche riconoscimento, non è mai stato tentato. Ha preferito, come quel personaggio della favola antica che era invincibile finché poggiava i piedi sul suolo, restare con i piedi sulla terra di Piadena. Quando è andato in pensione ha investito i suoi risparmi e un premio per trasformare una cascina in un grande, luminoso laboratorio didattico. Là l’ho visto l’ultima volta e là anzitutto il suo lavoro continua.

La Repubblica 04.03.14