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"Contro l'ignoranza attiva", di Dario Antiseri

La storia della filosofia esiste perché esistono i problemi filosofici. Problemi come questi: Dio esiste o è solo un’invenzione per usi disparati? Il tutto-della-realtà è solo quello di cui parla o può parlare la scienza o si danno anche validi argomenti a difesa dell’idea che tutto non è destinato a finire in questo nostro mondo? È proprio vero che l’ateo è più scientifico del credente oppure si può ben dire che l’ateismo è una pura e semplice fede non di rado camuffata da teoria razionale? L’uomo è libero o determinato? E cosa è cambiato o cambia, per l’immagine dell’uomo, con l’avvento della teoria dell’evoluzione?
Problemi carichi di conseguenze morali e politiche sono quelli che i filosofi hanno affrontato con la proposta delle diverse filosofie della storia: la storia umana è da sempre un campo aperto all’impegno morale, creativo e responsabile degli esseri umani oppure è una imponente realtà che si evolve seguendo ineluttabili leggi di sviluppo? E ineludibili problemi filosofici sono quelli relativi alla «migliore» organizzazione della convivenza umana — problemi, dunque, di filosofia politica. Quali le ragioni di una società aperta? E perché mai non valgono quelle argomentazioni con le quali più d’un filosofo, a cominciare verosimilmente da Platone, ha cercato di giustificare concezioni totalitarie e tiranniche del potere politico? E quei valori etici di fondo per i quali, come diceva Kierkegaard, si può vivere o morire, sono oggetto di pura scelta o sono razionalmente fondabili? Insomma, ha ragione Pascal allorché afferma che «il furto, l’incesto, l’uccisione dei padri e dei figli, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuose» ovvero sono nel giusto i sostenitori del «diritto naturale», per i quali l’umana ragione sarebbe in grado di individuare e razionalmente fondare norme morali valide sub specie aeternitatis ? Ma che ne è, poi, del diritto naturale se si ritiene valida quella legge — definita da Norberto Bobbio «una legge di morte per il diritto naturale» — che è la cosiddetta legge di Hume, la quale fissa l’impossibilità logica di derivare asserti prescrittivi da asserti descrittivi, con la conseguenza che da tutta la scienza non è possibile estrarre un grammo di morale?
Ulteriori problemi filosofici. La scienza può dare certezze oppure ogni teoria scientifica, per ragioni logiche, resta sempre sotto assedio? E come demarcare il discorso scientifico da altri tipi di discorsi come, per esempio, quello metafisico o quello etico? E ancora: regge o è davvero inconsistente, per usare una espressione di Nelson Goodman, la «dispotica dicotomia» tra artistico-emotivo e scientifico-cognitivo? E un solo altro interrogativo, quello di Pilato: che cos’è la verità? Cosa vuol dire che una teoria fisica è vera, che un teorema matematico è vero, che una teoria metafisica è vera, che una fede religiosa è vera? Le idee — ha detto Einstein — sono la cosa più reale che esista al mondo. E non si fa fatica a comprendere che, tra queste «cose più reali», talvolta anche tra le più disumane, ci sono proprio idee filosofiche. La terra è, infatti, inzuppata di sangue versato in nome di alcune di queste idee filosofiche. Non si uccide né si è disposti a farsi uccidere per le leggi di Ohm o di Faraday. E concezioni fatalistiche e liberticide come le varie filosofie deterministiche della storia ovvero, ancora, teorie, fonti di immani tragedie, come quelle razziste o come i totalitarismi di destra e di sinistra, non sono prodotti di botteghe di artigiani, sono teorie uscite dalla testa di filosofi il cui influsso nefasto si è diffuso come peste tra le masse.
Sta qui, pertanto, una non indifferente ragione per educare i giovani a tenere sotto controllo idee filosofiche assorbite magari inconsapevolmente dalle persone con le quali sono venuti a contatto, dalle loro più o meno o nient’affatto guidate letture, dalle sempre più invadenti fonti di incontrollabili informazioni. È per questo, dunque, che la filosofia va studiata: va studiata per venire a conoscenza delle risposte che grandi menti dell’umanità hanno dato a problemi molti dei quali riguardano tutti, ogni uomo e ogni donna: de nobis fabula narratur . In poche parole, come ha scritto Isaiah Berlin, il fine della filosofia è sempre il medesimo: «Consiste nell’aiutare gli uomini a capire se stessi e quindi a operare alla luce del giorno e non, paurosamente, nell’ombra».
Si rischia seriamente di essere meno cittadini e oggi — cosa sottolineata di recente anche da Martha Nussbaum — meno cittadini del mondo senza la consapevolezza critica che uno studio serio della storia delle idee e delle controversie filosofiche è in grado di offrire. Solo «menti aperte» costituiscono il presidio più sicuro di una «società aperta». Conseguentemente, l’insegnamento della filosofia andrebbe esteso a tutti gli ordini delle scuole superiori, potenziato in tutte le facoltà umanistiche ed introdotto, con opportune modalità, nelle facoltà scientifiche, a cominciare dalla facoltà di Medicina. E, allora, che dire di coloro — burocrati, esperti e consulenti — che, aggirandosi nell’antro del ministero della Pubblica istruzione e della ricerca scientifica, avanzano proposte tese a ridurre da una parte e a cancellare da un’altra l’insegnamento della filosofia?
Alle «ideazioni» di questi «fantasmi» pare addirsi alla perfezione un pensiero di Goethe, e cioè che «nulla è più funesto dell’ignoranza attiva». Spegnere la luce della filosofia dalle menti dei nostri giovani equivale a perpetrare un furto nei loro confronti e a renderli facili prede del primo imbonitore.
Ministro Stefania Giannini, è disposta Lei a farsi complice di questi «ladri di formazione», «barbari non più ai confini ma in mezzo a noi», veri «scassinatori» di quei tesori che fortunatamente rimangono ancora nella nostra scuola?

Il corriere della Sera 09.03.14