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"Donne e giovani al posto delle ideologie", di Mauro Magatti

Dopo la questione generazionale – simbolizzata dall’ascesa di Renzi che, cavalcando l’idea della rottamazione, ha rapidamente scalato la politica italiana – ecco emergere quella di genere. Con la battaglia sulle quote rosa nelle liste elettorali sono adesso le parlamentari a rendere manifesto ciò di cui sono convinte molte donne italiane: è venuto il momento di coalizzarsi per ottenere quello che l’immobilismo della società italiana impedisce di raggiungere.
Non più operai e artigiani, garantiti e precari, ma giovani e donne: sono dunque demografiche le dimensioni attorno alle quali, nell’Italia contemporanea, si strutturano il discorso politico e la trasformazione sociale. Finite le ideologie, la frammentazione sociale rende difficile trovare punti di aggregazione: il genere, l’età – come altrove o in altri momenti sono stati o possono essere il territorio, la razza o la religione – diventano il coagulo del malcontento e la benzina del cambiamento. Che occorre saper interpretare.Da un lato ci sono i giovani, che stanno pagando in misura sproporzionata il costo del declino della società italiana. I tassi di disoccupazione che sfiorano il 40% , l’espatrio forzoso di decine di migliaia di laureati, i due milioni di ragazzi che non lavorano e non studiano, raccontano di una generazione che bussa e che trova la porta sistematicamente chiusa. Una situazione insopportabile che spinge ormai tanti a smettere persino di bussare.
Vista dal lato delle donne, la situazione non è migliore. L’Italia ha una presenza femminile nel mondo del lavoro non solo quantitativamente più bassa rispetto a quello che accade negli altri Paesi avanzati (con un tasso di occupazione in calo e oggi pari al 46% siamo tra i fanalini di coda in Europa) ma anche qualitativamente discriminatoria: come dimostrano i differenziali salariali a parità di posizione professionale (-15% per le donne) o la distribuzione delle posizioni dirigenziali (dove le donne sono poco più del 10%). Nonostante che, nella popolazione con meno di quarant’anni, rappresentino la parte più istruita, le donne fanno una gran fatica a essere riconosciute per quello che valgono. Così che la «meglio gioventù» dell’Italia contemporanea – in larga parta costituita proprio dalle giovani donne – quella di cui abbiamo più bisogno per risollevarci, rischia di rimanere in panchina, o emigrare.
Si obietterà che questo in Italia è sempre avvenuto. E ciò è senz’altro vero. Ma il problema sta nella mutata condizione storica: oggi i Paesi che riescono a essere più dinamici sono esattamente quelli in cui si è capito che i giovani e le donne costituiscono due gruppi sociali attraverso cui il cambiamento si realizza più facilmente.I primi sono naturalmente portati all’innovazione. Soprattutto in un’ epoca come quella cui viviamo, nella quale assistiamo a continui salti tecnologici. Sappiamo tutti che gli imprenditori più innovativi degli ultimi vent’anni sono per lo più giovanissimi capaci di intuire le nuove possibilità messe a disposizione dalle tecnologie digitali e orientarne le direzioni di sviluppo sulla base della sensibilità ai bisogni sociali inespressi.
In maniera diversa, anche le donne sono sempre più spesso le protagoniste del cambiamento di un mondo avanzato che ha sete di diversità. Si potrebbe dire così: il fatto che siano proprio i giovani e le donne a pagare i costi più alti della crisi è la prova provata del ritardo italiano: bloccando i canali della mobilità sociale, impedendo ai giovani di provare di che cosa sono capaci, umiliando le donne dentro stereotipi del passato, l’Italia dimostra di non aver capito che la sfida da affrontare è quella di creare una società aperta e dinamica. Per questo, non va vista come una stravaganza il fatto che siano proprio il ricambio generazionale e la questione di genere a dettare in questi mesi l’agenda delle politica italiana.Come sempre, occorre poi avere l’intelligenza di cogliere il punto: non è l’essere giovani né l’essere donna a garantire la qualità delle persone né l’efficacia dell’azione.
Il problema è semmai quello di creare assetti sociali in grado di trovare un equilibrio tra la creatività dei giovani e l’esperienza dei più anziani; tra la promozione delle donne nel mondo del lavoro e delle professioni e la protezione di quel nucleo prezioso per la società che è la famiglia; tra la necessità dell’apertura, della velocità, della innovazione e la sapienza della custodia, della lentezza, della tradizione.
Ma della natura di questi equilibri speriamo di poter parlare nei prossimi anni, una volta che, grazie al contributo delle donne e di giovani italiani, saremo tutti insieme riusciti a sbloccare la situazione, portando il nostro Paese fuori dal grave declino in cui versa.

Il Corriere della Sera 09.03.14