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"L’anticorruzione tra esigenze di immagine e rinnovamento", di Giovanni Bianconi

Quando Matteo Renzi ha parlato con Raffaele Cantone per comunicargli l’intenzione di affidargli la guida dell’Authority anticorruzione, il magistrato ha spiegato al neopresidente del Consiglio che per ottenere qualche risultato bisognava mettere l’organismo in condizione di lavorare seriamente. «Quello è scontato — gli ha risposto il premier —, per noi è un fattore d’immagine molto importante».
Poi domenica sera è arrivato, improvviso e in diretta tv, l’annuncio della nomina prossima ventura. Ma ammesso che davvero domani il Consiglio dei ministri approvi la scelta di Cantone su proposta del titolare della Pubblica amministrazione di concerto coi colleghi di Giustizia e Interno (per poi passare alla firma del presidente della Repubblica, previo parere delle commissioni parlamentari competenti), bisognerà restituire a quella mossa d’immagine un po’ di contenuti. Altrimenti non avrebbe nemmeno senso che il pubblico ministero anticamorra accettasse l’incarico, visto che un’immagine ce l’ha già, e piuttosto buona.
Il primo nodo da sciogliere sarà la composizione dell’Anac, Autorità nazionale anticorruzione. Attualmente coincide con la Civit, la commissione varata nel 2009 dall’ex ministro Brunetta per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, composta da tre membri e presieduta dalla professoressa di Scienza delle finanze Romilda Rizzo. L’interpretazione «minimale» vorrebbe che la nuova Anac (di cinque componenti) fosse solo un’integrazione della Civit, con la nomina del nuovo presidente e di un altro membro, nel rispetto della «parità di genere». Ma nell’interpretazione più «propulsiva» della riforma si potrebbe invece azzerare il vecchio organismo e creare il nuovo, o comunque separarli, in modo da marcare la discontinuità col passato e più diretti legami con gli obiettivi della legge Severino. Un articolo dello stesso Cantone pubblicato la settimana scorsa su L’Espresso indicava come segnale «più disarmante» del disinteresse della politica verso l’anticorruzione, proprio il mancato varo dell’Anac che «oggi funziona con i membri scelti per un altro organismo». Un invito piuttosto esplicito al rinnovamento complessivo, che dovrebbe innescarsi con la sua nomina.
Quanto agli interventi che l’Autorità è chiamata a promuovere, ci sono strumenti già previsti dalla legge che possono essere utilizzati, mentre altri andrebbero introdotti per garantirne l’efficienza. Tra i primi rientra la collaborazione con «gli organismi paritetici stranieri», che fornirebbe all’Anac sponde utili per adeguarsi agli standard europei in tema di prevenzione e trasparenza. Ci sarebbe invece bisogno di qualche aggiustamento per garantire un po’ di concretezza a quello che forse è il compito principale della nuova Autorità: «la vigilanza e il controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni» per combattere il la corruzione. Per esempio dotare l’Anac di poteri ispettivi, e prevedere la possibilità di infliggere sanzioni a chi non adempie a doveri e indicazioni ricevute. Questo potrebbe far diventare l’Authority un effettivo controllore della gestione del contrasto e della prevenzione del malaffare, sul territorio e nell’intera amministrazione dello Stato. Un obiettivo ambizioso, che potrebbe davvero segnare un cambio di passo rispetto al passato; con l’auspicabile risultato di dare qualche risposta a problemi strutturali e mai risolti (spesso nemmeno mai affrontati), oltre che soddisfare le impellenti esigenze «d’immagine» del nuovo capo del governo .

Il Corriere della Sera 11.03.14