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"Il decalogo anti-corruzione", di Roberto Saviano

Negarlo sarebbe colpevolmente ingenuo: ciò che rende l’Italia un Paese in cui sembra non valere più la pena investire e da cui sembra sempre più necessario emigrare è soprattutto la corruzione. Una corruzione che non è il banale istinto a rubare, che razzismi minori imputano alla cultura di un Paese. Non si tratta di episodico malcostume, ma di meccanismi reali, fin troppo tangibili, concreti e diffusi ovunque: una macchina sommersa e infame che garantisce i complici del
sistema e esclude gli onesti.
E spesso trasforma in complici gli onesti: costretti a piegarsi per vedere riconosciuti i loro diritti. Perché chi ne sta lontano vede chiudersi troppe porte. Chi la vuole evitare, vede ridursi la possibilità di accedere ad appalti, cariche, ruoli, affari. La corruzione sembra divenuta il metodo di selezione principale in un paese che non sa più premiare merito e concorrenza. Se non sai chi pagare e quanto pagare, spesso non avrai le autorizzazioni giuste, il documento che ti occorre, l’accesso a una informazione. Chi non paga non verrà eletto. Chi non sa innescare scambi di favori non riceverà scatti di carriera. Chi non entra in questi meccanismi e vuole fare impresa o politica — troppo spesso — si trova davanti muri insormontabili.
Non tutto il paese è così, naturalmente, ma l’Italia, agli occhi di chi ci osserva, è una Repubblica fondata sullo scambio di favori. Il resto del mondo non è certo il paradiso in terra, ma semplicemente molto spesso certe scelte altrove risultano più chiare e soprattutto trasparenti. Magari si conoscono i legami tra finanziatori e finanziati e questo rende più facile potersi orientare nella lettura delle scelte che vengono fatte. Ciò che spesso tendiamo a sottovalutare è che vivere in un paese in cui la corruzione è necessaria per qualunque cosa, anche per ottenere ciò che sarebbe dovuto significa vivere solo nominalmente in una democrazia.
Una democrazia corrotta non è democrazia, perché calpesta il primo diritto: quello dell’uguaglianza.
La scelta di un magistrato da sempre impegnato in prima linea come Raffaele Cantone alla guida dell’Autorità anticorruzione è una nomina importante, potrebbe fare la differenza ma alla sola condizione che anche l’Anticorruzione cambi. Raffaele Cantone deve essere messo nella condizione di poter lavorare, di poter lavorare serenamente, di poter lavorare davvero. Perché il compito è tremendo, l’impresa è difficile, e richiede un lavoro da certosino: costruire una squadra di persone competenti, e poi studiare, monitorare, e provare che ciò che si è ipotizzato corrisponda a realtà. Trovare soluzioni, proporle e fare in modo che vengano accettate da un governo che potrebbe mostrare contraddizioni, attriti e divisioni interne. Le cose da fare sono molte, moltissime, prioritarie e vitali. Ho provato a stilare un elenco di dieci punti, quelli che a me paiono più urgenti, sperando che su questo tema l’attenzione resti costante.
1)
Oltre a Raffaele Cantone ci saranno altri quattro membri: è necessario che siano di alto profilo, perché il lavoro da fare dovrà essere senza attriti e contrasti superflui. Non dovranno essere scelti in quota politica, ma per le loro reali competenze e qualità. Questo punto è fondamentale, da qui parte tutto il lavoro.
2)
Bisogna rivedere in via normativa i poteri del Commissariato per consentire di fare un controllo completo ed efficiente. Ad oggi il Commissariato non ha poteri di intervento immediato reali.
3)
Il governo deve dare poteri sanzionatori per colpire quelle parti delle amministrazioni che non collaborano dando informazioni. I responsabili delle amministrazioni che non consentano i controlli dell’agenzia o che non adempiano agli obblighi previsti dalla legge devono essere sanzionati direttamente dall’agenzia a cui va riconosciuto un potere sanzionatorio analogo altre authority.
4)
Devono essere ampliati i momenti di trasparenza in particolar modo per tutte le attività in cui girano soldi. Gare d’appalto, finanziamenti, grandi eventi, cantieri.
5)
Bisogna allontanare dalle amministrazioni i dipendenti condannati.
6)
È fondamentale prevedere incompatibilità fra cariche politiche e amministrative o di gestione.
7)
Non bisogna attenuare le cause di incandidabilità.
8)
Bisogna modificare i termini della prescrizione per i reati in materia di corruzione.
9)
Introdurre il reato di autoriciclaggio e rendere più severe le pene per il falso in bilancio. Questo reato, infatti, è punito in modo ridotto e solo a certe condizioni. Vengono perseguiti solo enormi falsi molto difficili da individuare.
10)
Modificare la legge contro il voto di scambio.
Tutto questo partendo da un assunto fondamentale: dal 2003, ovvero da quando “l’Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione” è nato, non è riuscito mai ad avere un vero ruolo. Il primo a ricoprire questo incarico fu il magistrato Gianfranco Tatozzi che lasciò la carica dopo poco, per la «scarsa sensibilità» dimostrata rispetto ai temi della corruzione dal governo Berlusconi. Poi arrivarono Bruno Ferrante, Achille Serra e Vincenzo Grimaldi, ma nessuno di loro è riuscito a dare un ruolo incisivo all’azione del Commissario, a monitorare ciò che accade in un paese dove le crisi di governo sono la priorità. Prioritarie anche e soprattutto rispetto alla credibilità del tessuto economico, che in questi anni è stato letteralmente distrutto dalle organizzazioni criminali.
Con Giulio Tremonti l’Alto commissario fu sospeso, per rinascere poi con un nuovo nome “Autorità nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche”.
Ma il nuovo nome dato non è servito a granché: la verità è che in poco più di 10 anni di vita l’istituzione non ha mai funzionato veramente. Il nuovo governo riuscirà a renderla efficiente? Una struttura del genere, questo deve essere chiaro, non solo all’esecutivo appena insediato ma a chiunque abbia a cuore il futuro dell’Italia, può risultare fondamentale per la capacità immediata di disarticolare i meccanismi corruttivi che regolano segretamente tanta parte della nostra economia. La scelta di Cantone è un gesto di buona volontà ma è solo il primo passo. Raffaele Cantone deve essere messo nelle condizioni di lavorare e con il potere necessario per non trovarsi in un guscio vuoto, alla guida dell’ennesimo ente inutile. Con le sue capacità e la sua storia professionale può davvero essere un valore aggiunto. C’è molto da fare: su questo si misurerà l’operato del governo e dello Stato. Attendiamo.

La Repubblica 12.03.14