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"L’austerity non è più un dogma", di Paolo Soldini

Forse lui non lo sa nemmeno, ma alla vigilia della sua difficile trasferta Matteo Renzi ha trovato a Berlino un alleato prezioso. Si tratta di Peter Bofinger, uno dei «cinque saggi» istituzionalmente incaricati di consigliare il governo federale in materia economica.
È forse l’economista più conosciuto in Germania e certo il meno allineato sul- la tradizionale linea dell’austerity. Bo- finger stavolta ha indirizzato la sua inesausta vis polemica contro il proposito del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, annunciato con grande battage propagandistico nel piano finanziario presdentato in parlamento, di raggiungere nel 2015 il pareggio assoluto di bilancio, ovvero l’eliminazione di ogni debito. Secondo l’economista, non è proprio il momento di puntare allo «zero nero», come in gergo viene definita l’eliminazione totale dell’indebitamento nel bilancio. Oggi, alla luce del livello bassissimo del costo del denaro, che non è mai stato tanto favorevole, sarebbe invece molto conveniente eliminare il blocco degli investimenti in fatto di infrastrutture imposto dall’attuale rigida disciplina. Bisognerebbe spendere di più, insomma. Nell’anno in corso e nel prossimo, secondo l’economista dei «saggi», il governo federale dovrebbe «utilizzare a pieno gli spazi di manovra» offerti dal patto di stabilità e stanziare investimenti finanziati a debito che nel 2015 potrebbero ammontare a 27,5 miliardi di euro.

Altri analisti, anche indipendenti, condividono l’opinione secondo la qua- le la politica economica della Germania dovrebbe favorire la ripresa degli investimenti, a cominciare da quelli pubblici, e privilegiare il rafforzamento del mercato interno riducendo la propensione alle esportazioni, la quale è diventata un tale fattore di squilibrio all’interno dell’Unione da aver fatto balenare la prospettiva di sanzioni della Commissione se il gap non verrà ridotto.

Il parere di Bofinger e di molti suoi colleghi è musica per le orecchie di tutti coloro che ritengono sia arrivato il momento di allentare nell’Eurozona i vincoli imposti dall’austerità a tutti costi per promuovere investimenti e crescita. In questa schiera c’è, com’è arcinoto, il capo del governo italiano, il quale arriverà stamani a Berlino con il proposito di convincere Frau Merkel (e Herr Schäuble) ad appoggiare, o almeno non ostacolare, il proposito di Ro- ma di chiedere a Bruxelles il permesso di manovrare sui margini offerti dai quattro decimi di punto tra il deficit al 2,6% attuale e la fatidica soglia del 3%. Si tratta di miliardi necessarissimi per finanziare le manovre illustrate nei giorni scorsi a Roma e gratificate, a Berlino, con l’aggettivo “ambiziose”.

Certo, gli interlocutori della nutrita delegazione governativa italiana non saranno Bofinger e gli altri economisti che la pensano più o meno come lui e che cominciano ad essere un bel numero anche a Berlino e dintorni. Renzi e i suoi dovranno vedersela con la cancelliera, come dire la «linea Merkel» nella sua pura e semplice incarnazione terrena, e con il possibilmente anche più ostico ministro da lei messo a guardia dei conti. Ma il fatto di arrivare nella tana dei lupi nel momento in cui tra gli stessi lupi qualche discussione comincia a vivacizzare la scena, potrebbe aiutare non poco l’argomentare dell’italiano.

Anche perché in fatto di politiche economiche e di strategia contro la crisi del debito, qualche novità rispetto alle chiusure e alle rigidità del passato a Berlino c’è anche a prescindere dalle convinzioni e dalle raccomandazioni di Bofinger e compagni. Al governo insieme con Angela Merkel (e con Schäuble) ci sono i socialdemocratici, i quali sono sensibili, sì, alle ragioni della disciplina di bilancio ma lo sono altrettanto alle esigenze degli investimenti e dell’allargamento del mercato interno, come si è visto anche nelle lunghe trattative d’autunno per la formazione della große Koalition. Renzi, che socialdemocratico non è mai stato, ha fatto anche lo sforzo di stabilire un buon rapporto con la Spd nell’ambito del partito dei socialisti e democratici europei cui ha favorito l’adesione del Pd e al cui congresso a Roma ha tenuto un impegnativo discorso. E d’altra parte questo tour di prese di contatto nelle capitali importanti e a Bruxelles del nuovo capo del nuovo governo di Roma si col- loca a poco più di due mesi dalle europee, a quattro dalla presidenza di turno dell’Italia e a otto dal rinnovo della Commissione: avvenimenti che potrebbero aprire la strada a modifiche pro- fonde, nel segno degli investimenti e del lavoro, nelle politiche dell’Unione europea.

L’Unità 17.03.14