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"Altro che quote rosa, è democrazia paritaria", di Francesca Izzo

E’ accaduto con la parola “femminicidio”: al principio c’era una resistenza fortissima ad usarla perché brutta e urticante, ma poi l’ha spuntata perché è l’unico termine appropriato per denotare l’uccisione di una donna solo perché è donna. Quando con una grande campagna di informazione si è chiarito che mariti, fidanzati, conoscenti le uccidono perché, aspettandosi acquiescenza e subordinazione, non riescono invece a tollerare la loro libertà e il loro rifiuto, allora il termine è diventato di uso corrente.
Ecco ora siamo alle prese con un’analoga situazione, forse ancora più difficile. L’espressione che deve entrare nell’uso comune è «democrazia paritaria» ma deve combattere per affermarsi contro quella semplice e diffusa di «quote rosa». In questi giorni di quote rose se ne è scritto e detto a destra e manca per raccontare dell’iniziativa di un consistente numero di deputate di inserire nella nuova legge elettorale il principio della parità. Chi si è dichiarato a favore chi contro, ma tranne pochissime eccezioni, tutti a parlare di quote rosa.
Appena qualche giorno fa, ad esempio, Gian Antonio Stella ne ha sostenuto la necessaria e temporanea introduzione per vincere uno storico gap. Invece una platea vasta, arringata a sorpresa ieri sera a Che tempo che fa da una Luciana Littizzetto antiquote, è duramente contraria perché respinge le tutele, vuole il merito e non i recinti protetti. Soprattutto le giovani donne si mostrano ostili: hanno misurato a scuola, negli studi, nei concorsi il loro valore e sanno di poter competere alla pari con i loro coetanei e quindi non vogliono essere ricacciate nel ghetto degli svantaggiati, di quote infatti si parla per chi ha degli handicap, per le minoranze …
Hanno pienamente ragione: le donne non sono una minoranza e per giunta oggi le giovani donne sono forti, preparate e competitive, altro che svantaggiate. E allora? Il fatto è che le parole sono le cose e usare la parola quota per indicare qualcosa di diverso produce terribili fraintendimenti.
Democrazia paritaria è l’espressione adeguata. Adeguata ad indicare che la rappresentanza del popolo (quella che con il voto eleggiamo in Parlamento), per essere democratica e non «oligarchica», deve dare «rappresentazione» del dato basilare che il popolo è fatto per metà da uomini e per metà da donne e che quindi la composizione parlamentare deve essere paritaria. I criteri con i quali vengono scelti i rappresentanti, cioè i famosi merito, qualità e competenza dei candidati riguardano in egual misura sia gli uomini che le donne e prescindono dalla regola paritaria, a meno che non si pensi che merito, qualità e competenza abbondino tra gli uomini e scarseggino tanto drammaticamente tra le donne da dover ricorrere a sciocche incompetenti per rispettarla.
La democrazia paritaria non configura alcuna concessione, alcun regalo o tutela, è la semplice presa d’atto (frutto però di un’epocale rivoluzione culturale e politica) che il popolo sovrano è fatto di uomini e donne e non è una nozione neutra, indistinta. È stata quella nozione neutra a consentire, anche nella storia repubblicana, di considerare «normale» che la rappresentanza fosse monopolizzata dagli uomini e che la presenza delle donne fosse un’anomalia, un’eccezione da giustificare con meriti altrettanto eccezionali. Questa visione, diffusa ancora oggi, è l’eredità di un lungo passato che non vuole passare, nel quale la politica era per definizione cosa esclusivamente di uomini e alle donne era vietato, proibito di occuparsene e qualcuna, per sfidare il divieto, ci ha rimesso pure la testa.
La democrazia paritaria è il compimento della democrazia, perché porta a compimento l’inclusione delle donne nella polis. E fa anche un’altra cosa non meno rilevante: sottrae all’arbitrio o alla «generosità» degli uomini che ne detengono le chiavi una parte del potere di decidere, rendendo più libere le donne.
Non si chiedono meriti o medaglie speciali alle donne per entrare nella cittadella della rappresentanza, né ci aspettiamo azioni miracolistiche dalla loro presenza. Ma credo sia chiaro a tutti che una rappresentanza popolare composta per metà da donne, cambiamenti nella concezione e nella concreta azione politica li produce e sicuramente in meglio, vista la crisi drammatica di credibilità e di fiducia delle istituzioni rappresentative.

L’Unità 18.03.14