attualità, politica italiana

"Il tempo giusto delle riforme", di Emilio Barucci

Nel suo discorso alla Camera sul semestre europeo il Premier Renzi ha battuto su due tasti: la necessità di «fare l’Europa» uscendo dal luogo comune che la vede come un soggetto esterno che concede autorizzazioni e vidima i conti pubblici; dare maggior respiro all’azione riformatrice interna con un ampio orizzonte temporale (1000 giorni) per fare le riforme. Da più parti è stato osservato che i due temi si tengono tra di loro. È vero, vediamo perché.

Partiamo dall’Europa. Il semestre italiano di presidenza europea può essere un’occasione importante ma non risolve i problemi, il premier ha tutte le intenzioni di far cambiare verso all’Europa ma ancora non è chiaro cosa si possa ottenere realisticamente anche perché l’azione dei diversi paesi appare essere poco coordinata. Renzi ha fatto asse con Hollande e con gli altri partiti del Pse per ottenere un allentamento dei vincoli sulla finanza pubblica e per mettere il lavoro e la crescita al centro dell’azione europea piuttosto che confermare l’attenzione ossessiva sulla convergenza dei conti pubblici. Affinché non si tratti di un cambiamento puramente nominalistico e non si rimanga al livello delle pure intenzioni occorre capire bene di cosa si discute. Sul tavolo sembra esservi un allentamento dei vincoli sul rientro dal debito con uno scorporo degli investimenti/costi legati alle riforme. Non è una grande novità. Almeno fino a oggi, non siamo riusciti veramente a discutere delle misure che potrebbero far ‘‘cambiare verso’’ all’Europa. La mutualizzazione dei debiti nazionali non è all’ordine del giorno, così come non si intende discutere effettivamente delle politiche fiscali per favorire la convergenza tra i diversi Paesi. La verità è che, dall’inizio della crisi, l’Europa ha stentato a trovare un momento veramente comunitario, ogni Paese ha portato avanti i propri interessi e a Bruxelles e Francoforte ci si è limitati a fare lo stretto necessario per salvare l’euro: acquisti sui titoli di Stato, Ltro, fondo salva Stati, Unione bancaria. Il perno dell’azione europea è stata la Banca centrale europea, non la Commissione o il Parlamento europeo.

Fino a oggi abbiamo assistito a una politica europea che è andata bene ai paesi forti garantendo loro un ampio mercato. Ma anche per loro il futuro potrebbe essere cupo: difficilmente la Germania continuerà a crescere se gli altri Paesi continueranno a stentare. Bisogna provare a fare di più, il problema è che il difficile equilibrio tra paesi e forze politiche che si va componendo non sembra essere un buon viatico per una vera azione riformatrice a livello europeo, il voto antieuropeo non sembra aver creato le condizioni per avere ‘‘più Europa’’.

Se le cose stanno così, i margini di apertura che si iniziano ad intravedere richiedono una forte azione riformatrice da parte del governo al fine di ottenere un allentamento sul fronte del rientro del debito pubblico. Il governo si è garantito una legittimazione democratica con il voto europeo, questo è molto importante, non vi sono adesso scadenze elettorali significative, è giunto il momento per il governo Renzi di dare fondo all’azione nel medio periodo scrollandosi di dosso l’ansia da prestazione che sicuramente non aiuta. La strategia del governo finora è stata quella di gettare il cuore oltre l’ostacolo, buttare le reti, vedere cosa si raccoglie e provare a finalizzare una riforma. Un approccio non convenzionale che sembra pagare nell’ottica di finalizzare il risultato ma che espone il governo al rischio di portare avanti riforme incoerenti o non efficaci. C’è adesso bisogno di un’azione più sistematica. Le linee d’azione individuate dal governo Renzi vanno nella direzione giusta: riforma della pubblica amministrazione, sostegno dei consumi, rafforzamento della competitività delle imprese, riforma del mercato del lavoro. Iniziative che in larga misura debbono ancora essere messe a punto. Altri tasselli potrebbero aggiungersi come ad esempio una più efficace lotta all’evasione e la ridefinizione di alcune forme del nostro welfare state.

Il Paese ha bisogno di riforme che da un lato riducano lo spazio di rendite ridefinendo il nostro welfare state e dall’altro creino un ambiente favorevole per l’attività economica promuovendo la crescita della produttività che non si ottiene soltanto liberalizzando il mercato del lavoro. Renzi ha il consenso e la capacità di iniziativa politica che i Premier del recente passato non hanno avuto, occorre non sprecare questa occasione senza farsi l’illusione che sia l’Europa a risolvere i nostri problemi. In Europa comunque, come dice il Premier, si deve stare senza alcun complesso di inferiorità, del resto non è che la Francia sia messa molto meglio dell’Italia.

L’Unità 25.06.14