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"«Con la flessibilità Ue dieci miliardi l’anno. Si potrà investire di più», intervista al sottosegretario Delrio, di Lorenzo Salvia

L’Italia torna da Bruxelles con la regola del «miglior uso della flessibilità» già prevista. Non è un po’ poco, sottosegretario Graziano Delrio, per parlare di un’Europa che abbandona la linea del rigore e di vittoria del governo Renzi?
«No, non è poco perché è proprio dal mancato uso della flessibilità già consentita che sono arrivati i nostri problemi più seri».
Quindi, nel semestre di presidenza dell’Unione, l’Italia non chiederà di alzare il tetto del deficit, il famoso 3% del Pil, il Prodotto interno lordo?
«Non credo sia una legge scolpita per sempre nella pietra ma non vogliamo essere noi a spostarla sulla sabbia. No, non chiederemo di alzare il 3%. Anche per evitare sospetti e risolini in Europa, anche ricordando che ci sono altri Paesi che sforano quel limite in modo palese e per un certo periodo l’ha fatto persino la Germania».
Scusi, ma allora questa maggiore flessibilità cosa vuol dire?
«Vuol dire che quando si calcola il deficit non viene considerata, o meglio viene considerata flessibile, una parte della spesa. Di fatto si allenta il patto di Stabilità. Può essere fatto per il cofinanziamento, cioè i soldi che l’Italia è obbligata a spendere per utilizzare i fondi europei. Parliamo di una cifra intorno ai 7 miliardi di euro l’anno. Ma c’è anche la clausola degli investimenti, che consentirebbe di lasciare fuori dal calcolo spese ad alto impatto sociale, come la messa in sicurezza delle scuole o del territorio. Parliamo di una somma intorno ai 3 miliardi di euro. In tutto la flessibilità potrebbe valere 10 miliardi l’anno anche se non è scontato che queste due voci possano essere sommate».
L’anno scorso Bruxelles ha detto che la clausola per gli investimenti non poteva essere usata dall’Italia.
«Vero, e naturalmente sarà la Commissione a definire gli spazi possibili. Ma il no dell’anno scorso era motivato con una curva di discesa del debito pubblico ancora troppo lenta».
Se è per questo il nostro debito pubblico, invece di scendere, sta continuando a salire. Omai siamo al 135% del Pil.
«Scenderà ma bisogna percorrere una strada nuova. Che non è improvvisata o avventurosa come qualcuno dice. Se ne parla da tempo ma finora nessuno ha avuto coraggio di fare il primo passo».
Sta pensando alla ristrutturazione del debito pubblico, come in Argentina o in Grecia?
«Quelle sono riflessioni che farà il presidente del Consiglio. Ma l’Italia non cerca scorciatoie e nemmeno salvataggi. Qui se ne viene fuori solo con un orizzonte europeo più ambizioso».
Quale sarebbe la proposta allora?
«Quella di Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, gli euro union bond, cioè la mutualizzazione del debito. Si crea un fondo federale europeo al quale ogni Stato conferisce un pezzo del proprio patrimonio immobiliare e non. Sono garanzie reali che possono essere utilizzate in parte per investimenti strutturali in parte per alleggerire il debito pubblico. A quel punto non faticheresti più a trovare 3 miliardi di euro l’anno dalle privatizzazioni ma taglieresti il debito del 25-30%».
Sta dicendo che le privatizzazioni e le dismissioni immobiliari, sempre considerate l’arma numero uno per abbattere il debito pubblico, non bastano?
«Quel percorso va avanti comunque, uno Stato più leggero resta il nostro obiettivo. Ma con un debito pubblico sopra i 2 mila miliardi di euro c’è bisogno di una soluzione radicale. Oltre che di un ritorno alla crescita, che renderebbe tutto più facile».
Dopo la ripresina di fine 2013 nei primi tre mesi di quest’anno davanti al Pil è tornato il segno meno. Confindustria ha appena rivisto al ribasso le stime da qui alla fine dell’anno. Il bonus da 80 euro non funziona?
«Non è vero. Nel mese passato c’è stata una inversione di tendenza nella fiducia dei consumatori. Sono sicuro che tutte le misure del governo per ridare competitività al Paese, non solo il bonus da 80 euro ma anche la riforma della giustizia e della Pubblica amministrazione, daranno i loro frutti molto presto».
Ecco, le riforme. Comincia la settimana clou per quelle istituzionali. I senatori chiedono di tagliare anche il numero dei deputati. Una buona idea o un modo per prendere tempo?
«Non sono innamorato delle dietrologie ma non capisco il vantaggio di mettere in campo soluzione alternative dopo tutto il lavoro fatto. La proposta mi sembra consolidata: avere una sola Camera elettiva con un’altra basata sulla rappresentanza di Regioni ed enti locali».
Se non passa si va al voto anticipato?
«Il Paese ha bisogno di governo non di minacce, nemmeno quelle sul voto anticipato. Ciò detto, se rimane un bicameralismo mascherato ci sarà da ragionare bene. E il Parlamento si dovrebbe assumere le sue responsabilità».
Sulla legge elettorale puntate ancora sull’Italicum o si può tornare al Mattarellum?
«Una legge elettorale che non consente di capire chi ha vinto non è compatibile con il funzionamento moderno della democrazia. Sull’Italicum abbiamo raggiunto un equilibrio. Se poi arriva un contributo nuovo, come quello del Movimento 5 stelle, e tutti ci mettiamo d’accordo evviva. Ma non mi sembra questo il caso almeno per ora».
Delle preferenze si può discutere?
«Si può discutere di tutto ma non ne sono particolarmente innamorato. Hanno molte contro indicazioni, come il rischio di prestarsi al voto di scambio».
Berlusconi ha detto che bisogna regolamentare le unioni civili.
«Bene, un altro segnale che su alcune questioni le riforme si possono fare con un consenso largo. E anche velocemente come abbiamo dimostrato in questi primi 100 giorni».
Sulla giustizia mica tanto. Oggi in Consiglio dei ministri porterete non un decreto e nemmeno un disegno di legge ma solo delle linee guida.
«Nessuna frenata, è lo stesso percorso che abbiamo scelto per la riforma della Pubblica amministrazione. Prima i principi, poi la consultazione pubblica e solo alla fine i testi veri e propri».
Esiste il partito delle toghe?
«No, esiste una materia che per anni è stata condizionata dalle situazioni giudiziarie di politici di primissimo livello. Non c’erano le condizioni serene per fare una riforma, adesso sì».
Se il ministro degli Esteri Federica Mogherini andrà in Europa ci sarà un rimpasto. Sarà l’occasione per allargare la maggioranza?
«Se Mogherini andrà in Europa si tratterà di sostituire lei. Ma nessun rimpasto, per carità».

da Corriere della Sera