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"Presidenza italiana Limiti e speranze", da redazione Unità

Sarà bene, intanto sgmbrare il campo da un possibile equivoco. La presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione Europea, quella che l’Italia eserciterà da domani al 31 dicembre, non è la «guida politica» dell’Unione.Ha compiti diversi, e meno importanti, non solo rispetto alla Commissione, ma anche rispetto al Consiglio Europeo che, dal 2009, in base al Trattato di Lisbona ha un presidente permanente.
La presidenza di turno ha compiti di indirizzo e di coordinamento, convoca i vari consigli in cui si riuniscono i ministri dei 28 competenti per le diverse materie, e in caso di controversie media e favorisce il negoziato tra le parti. Chiarito questo fatto, va aggiunto subito però che la presidenza italiana cade nel momento molto particolare che tutti sappiamo: nel pieno del cambiamento dei vertici dell’Unione e in una fase politica in cui sembra chiaramente crescere la consapevolezza della necessità di passare dalla strategia del rigore di bilancio a politiche di investimenti sostenuti da
ragionevoli spese a livello europeo e da mutamenti di indirizzo nelle politiche economiche nazionali. Tra le due cose c’è un legame, come lo stesso capo del governo italiano si è preso cura di sottolineare quando ha espresso il proprio sì alla candidatura di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione ponendo però come condizione l’adozione di un programma centrato sulla crescita. Che la formula assai vaga sull’ impegno a «far miglior uso della flessibilità» contenuta nel documento finale del vertice di giovedì e venerdì soddisfi questa condizione è quanto meno controverso, ma il governo di Roma pare, per il momento, essersene accontentato.
Insomma, è questa contingenza a spiegare perché sul discorso di presentazione del semestre, che Matteo Renzi pronuncerà mercoledì davanti ai nuovi eurodeputati a Strasburgo, e sulla sfilza di consigli dei ministri già programmati per luglio, ben sei a cominciare dalla riunione dell’Eurogruppo e l’Ecofin, ci sia un’attesa molto più viva di quella, non proprio spasmodica, che viene riservata abitualmente agli inizi di altri semestri presidenziali. Oltretutto, dopo metà luglio dovrà tornare a riunirsi il Consiglio Europeo (cioè il vertice dei 28 capi di stato e di governo) per completare il pacchetto delle nomine, nel cui quadro c’è come è noto un’aspirazione italiana per l’Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza: mister (o mistress, come pare?) Pesc. L’impressione è che Renzi cercherà di
prendersi tutto lo spazio politico determinato da questo interesse, con un discorso ambizioso davanti ai deputati e con qualche proposta altrettanto ambiziosa che i suoi ministri, quello dell’Economia ma forse più ancora quelli del Lavoro e dello Sviluppo, presenterebbero nei primi consigli che presiederanno. L’impressione si basa su indiscrezioni che sono circolate sui
media italiani senza trovare, per ora, né conferme né smentite. Una riguarda un richiamo politico che Renzi rivolgerebbe all’Unione sulla necessità di superare il deficit di democrazia che è andato aggravandosi nel fuoco della crisi del debito, cui si è solo parzialmente rimediato con l’indicazione del presidente della Commissione votata dai cittadini e che potrebbe essere oggetto di una riforma dei Trattati da mettere in cantiere. Come si vede, siamo nel campo delle vaghezze: di riforma dei Trattati si parla da mesi e da anni e intanto sarebbe utile cominciare a capire che segno dovrebbe avere, più metodo comunitario o più metodo intergovernativo?
Un’altra indiscrezione pare avere un contenuto ben più concreto. Riguarda un piano di investimenti da 240 miliardi l’anno per cinque anni da finanziare con risorse europee, bilancio comune, fondi strutturali, BEI, con disponibilità nazionali e con fondi di investitori privati, magari incentivati con adeguate misure fiscali. Il programma sarebbe oggetto di un lavoro preparatorio comune di Parigi e di Roma e verrebbe presentato formalmente dal presidente francese François Hollande. È difficile capire
quanto fondamento abbiano queste indiscrezioni.
Per ora Palazzo Chigi e i ministeri tacciono e non commentano, perpetuando peraltro una linea della discrezione che ha reso particolarmente povera l’informazione sulle iniziative e le linee guida della presidenza italiana. E speriamo che di discrezione davvero si tratti e non di assenze e colpevoli ritardi nella preparazione del semestre. Quel che è certo è che il piano italo-francese se si concretizzerà potrebbe, esso sì, rappresentare una svolta positiva e decisiva nella politica economica europea.

da l’Unità