cultura

"Così nasce l'Europa dei diritti", di Vincenzo Ferrone

Grazie all’Illuminismo sulle macerie delle guerre di religione è sorto il linguaggio comune dell’umanità in cui tutti oggi ci riconosciamo

La soluzione dell’enigma dell’Illuminismo sta per larga parte racchiusa nella scoperta e nella sua appassionata lotta a favore dei diritti dell’uomo.
Per troppo tempo il punto di vista dei grandi filosofi, da Kant a Hegel, rilanciato da numerosi epigoni in ogni angolo d’Europa e nelle forme più diverse, ha condizionato la concettualizzazione e la ricostruzione storiografica del mondo dell’Illuminismo, facendone, in ultima analisi, un disincarnato frammento settecentesco – seppure importante – della storia della ragione e della razionalità in Occidente o di una indecifrabile fenomenologia dello Spirito, infelicemente estraniato a se stesso e fautore principale della crisi rivoluzionaria in Francia. Solo negli ultimi decenni, con la nuova storia culturale, è balzato in primo piano il tema dell’Illuminismo come originale tentativo di costruzione di un nuovo umanesimo dei moderni, di una straordinaria rivoluzione culturale dell’Antico Regime destinata a condizionare ancora il nostro presente.
Con la Rivoluzione francese e il Terrore, il progetto illuministico di difendere, emancipare e rendere felice l’uomo attraverso la pratica dei diritti s’interruppe: finì sostanzialmente nell’oblio e in un cono d’ombra storiografico. La storia europea prese indubbiamente un’altra strada ancora tutta da ricostruire dal punto di vista dell’eredità di quel mondo e di quel linguaggio che mirava a proteggere l’individuo di fronte all’emergere del nazionalismo. Ma è soprattutto alla domanda sul perché l’Illuminismo ha scoperto i diritti dell’uomo che questa ricerca ha dedicato non poco spazio.
La terribile guerra civile e religiosa durata oltre due secoli, dal Cinquecento ai primi decenni del Settecento, che coinvolse con i suoi orrori e le sue stragi milioni di persone in tutto il continente, rappresenta senza dubbio il cuore stesso della risposta. Quel dilaniarsi senza pietà tra protestanti e cattolici non solo aveva spaccato per sempre la cristianità e la sua idea unitaria di verità, rafforzando la corrente degli scettici e creando odi inestinguibili in quanto teologici, ma soprattutto metteva definitivamente in crisi l’antica concezione che senza religione non vi era comunità umana possibile, né civiltà. Senza Dio «tutto è permesso?» si chiederà angosciato Dostoevskij, e Nietzsche, andando ben oltre, scrisse «ai miei occhi non c’è nessuna idea più grande della negazione di Dio. Che cos’è la storia dell’umanità? L’uomo non ha fatto altro che inventare Dio per non uccidersi».
La guerra civile e religiosa mise in chiaro che quell’invenzione stava fallendo ovunque. Lungi dal frenare o limitare la volontà di potenza e lo spirito assassino dell’uomo, Dio era infatti divenuto l’incredibile pretesto per uccidersi tra cristiani, senza pietà. Lo ammisero amaramente Grozio, Pufendorf e tutti i padri del moderno diritto naturale decisi a rifondare il principio d’autorità e a creare una nuova scienza morale dei doveri dell’uomo secolarizzata e slegata da una religione in mano ai preti e ai teologi che metteva tutti contro tutti. E tuttavia proprio quella prima drammatica ammissione aprì la strada verso la scoperta dell’idea morale dei diritti dell’uomo come il nuovo possibile freno e limite alla volontà di potenza, all’istinto omicida, al cosiddetto homo necans.
Si cominciò allora a rivendicare il diritto naturale alla vita con Hobbes, alla libertà religiosa con Barbeyrac, e si finì con il diritto alla ricerca della felicita di Burlamaqui, affidandosi finalmente all’opera dell’uomo ragionevole e non più ai disegni della divina provvidenza. Insomma, in ultima analisi, fu proprio sul fallimento morale della cristianità in fiamme, che minacciava di travolgere la stessa esistenza dell’individuo, che nacquero l’Illuminismo e il suo linguaggio politico dei diritti.
La creazione di una nuova morale razionale e universale basata sui diritti, l’educazione all’umanità attraverso il superamento dell’antico nesso tra morale e religione come principio fondatore della convivenza civile – che aveva consentito a Platone, nel celebre libro X della sua ultima opera, Le Leggi, di ribattere ai promotori dell’ateismo – divennero infatti i veri obiettivi degli illuministi. In quella direzione, più che la scandalosa ipotesi di Pierre Bayle circa la possibile esistenza di una società di atei, o le tesi dei materialisti del Radical Enlightenment, furono i deisti alla Voltaire, alla Filangieri o alla Rousseau, cioè i fautori di una religione naturale comune a tutti i popoli, senza Chiese e teologi, pensata per migliorare l’esistenza degli individui, devota a un dio lontano e disinteressato alle vicende umane a creare i presupposti per la concezione universalistica e cosmopolita dei diritti. Nacquero allora le prime indagini illuministiche sulla religione come esperienza naturale, espressione di un bisogno umano di lenire le angosce esistenziali sino alla rousseauiana religione civile dei diritti dell’uomo.
Un’ulteriore conferma della validità di questa tesi che mette al centro il dramma della guerra civile e religiosa la si può riscontrare per analogia nel fatto che la recente riscoperta dei diritti è avvenuta proprio dopo la Seconda guerra mondiale: dopo la Shoah e il rischio mortale corso dal genere umano con la riapparizione sulla scena storica dell’homo necans e della sua terribile volontà di potenza. Ecco perché occorre in futuro approfondire bene la storia dei diritti. Solo attraverso una vera ricostruzione del passato, in grado di spiegare la problematica e contraddittoria genealogia storica di quel linguaggio, la secolare durissima disputa per inverarlo, contro i nazionalismi e i reazionari europei di ogni tipo, amanti dell’Antico Regime, è forse possibile comprendere le difficoltà che ancora oggi incontra l’accettazione della sua natura universalistica e cosmopolita legata all’idea morale di dignità dell’uomo rilanciata dagli illuministi nel Settecento. E tutto ciò mentre nessuno osa dubitare del carattere universalistico della scienza e del mercato, pur sempre figli anch’essi di quel mondo.
Insomma, se la storia qui raccontata può servire a rilanciare la causa originaria e autentica dei diritti umani e non quella tutta retorica e bellicosa dei nuovi signori del mondo, allora avremo davvero fatto un’opera meritoria «per la vita e per l’azione», come amava sottolineare Nietzsche, ripensando l’utilità del fare storia.

da Il Sole 24 Ore