cultura, economia

"Senza debiti dove saremmo?", di Guido Carandini

APPRENDIAMO da Manfred Weber, la nuova guida tedesca del Partito popolare europeo, che Renzi interpretando il ben noto Patto europeo di stabilità e crescita nel senso di accettare la stabilità per promuovere la crescita, rappresenta per l’Europa un pericoloso esempio di dissolutezza economica. Perché l’imprenditore democristiano bavarese è nemico giurato di chi come il capo del governo italiano propugna riforme che potrebbero implicare per l’Europa un maggior indebitamento. «Non vogliamo che si facciano nuovi debiti in cambio delle riforme », ha dichiarato Weber a muso duro.
Certo ha fatto benissimo Renzi a replicare che è inaccettabile quell’atteggiamento di predica morale a lui indirizzata perché sospettato di coltivare un vizio del suo paese auspicando delle riforme che in Europa potrebbero provocare una crescita dell’indebitamento pubblico.
Ed è inaccettabile, mi sembra, per almeno due ragioni. La prima: ché la crescita di quel debito in Italia è stata malefica in passato perché sganciata da vere politiche riformatrici (Berlusconi docet). La seconda: che una politica austera “in assoluto” cioè in ogni situazione come quella che piace al bravo bavarese, può essere magari legittima solo se applicata a un’economia domestica, ma semplicemente miope o addirittura inapplicabile quando si tratta di un’economia pubblica.
A meno che, come magari pensa Weber, non si debba intendere quella pubblica come la semplice sommatoria dei milioni di economie private dei cittadini di ogni paese, ossia come una specie di mastodontica economia “domestica” nazionale, la quale perciò dovrebbe essere gestita con la medesima parsimonia che esercita ogni onesto padre di famiglia. Ma come al solito si tratta di un vecchio malinteso di chi cioè non sa distinguere la macroeconomia (dello Stato) dalla somma di quelle micro (di famiglie e di imprese). Distinzione necessaria per il buon motivo che lo Stato è coinvolto non soltanto nelle nostre occasionali e molteplici transazioni economiche, ma che esso porta il segno di tutte le nostre “vite” e dunque delle illusioni e delusioni, azioni benefiche e malefiche, interessi legittimi e malavitosi di milioni di cittadini.
E inoltre si consideri che nella intera storia delle nostre società, che da oltre otto secoli è la storia della civiltà capitalista, quella che oggi chiamiamo crescita non è certo mai stata dovuta a virtuosi risparmi ma, con buona pace dei Weber di turno, agli indebitamenti di privati e di Stati. Non ci crede? Legga gentilmente in po’ di storia, ma di quella vera intessuta di produzioni e commerci oltre che di trattati diplomatici e di conflitti bellici, e scoprirà che proprio sul debito si sono fondati signorie e principati nell’Italia dell’età feudale culla del capitalismo, e che quello pubblico per antonomasia è iniziato ben 320 anni fa al di là della Manica, quando nel 1694 è nata la Banca d’Inghilterra. E allora Manfred Weber si metta il cuore in pace: purtroppo che io sappia non è stata ancora scritta una “Storia del debito” che copra gli otto secoli che ci separano dalla Venezia del 1200. In quella città-stato prendeva vita la civiltà capitalista perché schiere di ardimentosi mercanti sulla base certo non dei loro modesti risparmi ma dei vistosi debiti che contraevano, hanno iniziato la conquista dei mercati del levante che poi si sono tramutati in un unico mercato che oggi a buon titolo chiamiamo gobale.
E allora cosa vorrebbe l’imprenditore bavarese forse incautamente trasformatosi in politico di professione? Che la si smettesse di ricorrere ai debiti per alimentare lo sviluppo perché come egli sostiene «distruggono il nostro futuro »? Ma via signor Weber, solo il Mercante di Venezia interpellato in proposito le risponderebbe che ha ragione, perché quando le transazioni non erano ancora impersonali riscuotere un credito poteva anche costare qualche goccia di sangue. Ed effettivamente c’è voluta una terribile seconda guerra mondiale e dunque un altro vero fiume di sangue perché il debito tedesco delle riparazioni della guerra precedente fosse estinto e finalmente un conflitto intra-europeo apparisse oggi del tutto improbabile.
Ma questo è avvenuto soprattutto per una crescita economica come sempre ineluttabilmente fondata sul debito che oggi è ancor più necessaria per dare lavoro alle decine di milioni di giovani disocupati. E se per raggiungere quell’obbiettivo sarà necessario, come sosteneva il più grande economista inglese del Novecento, considerare un mito superato quello del pareggio del bilancio, ebbene continuiamo a farli i disavanzi, e tutti insieme sopportiamo il dispregio dei pochi che in nome di astratte ideologie reclamano un futuro di popoli che finalmente non siano indebitati. Le sembra veramente che possa essere un futuro molto migliore di quello attuale signor Presidente Manfred Weber?

da da La Repubblica