economia, lavoro, memoria

"Napolitano: «Italia finita se giovani senza lavoro»", di Marcella Ciarnelli

Il Capo dello Stato a Monfalcone per l’anniversario della Grande guerra. Il pensiero all’Europa di oggi e il ricordo di come quel conflitto partì, cento anni fa da «nazionalismi aggressivi e bellicosi»

È alla «grande guerra» che gli italiani stanno vivendo da alcuni anni contro una crisi economica senza precedenti che il presidente della Repubblica ha dedicato le parole più forti della suo primo giorno di visita nei luoghi in cui, cento anni fa, cominciò un conflitto segnato da «nazionalismi aggressivi e bellicosi», il primo di un secolo che poi visse un’altra guerra solo pochi decenni dopo. «Se i giovani non trovano lavoro l’Italia è finita» ha detto Giorgio Napolitano mentre tutta Monfalcone gli si stringeva attorno nel primo giorno della visita in Friuli del Capo dello Stato, l’occasione di un incontro a Cormons con i presidenti di Austria, Slovenia e Croazia.
La preoccupazione di Napolitano è quella dei tanti che gli si stringono attorno. Padri, madri, anche molti ragazzi. Lo spaccato di un Paese che chiede di avere diritto ad una speranza. E una domanda sul futuro gli consente di rendere ancora una volta esplicito il suo pensiero in unmomento in cui, tanto più che il semestre a guida italiana è cominciato da pochi giorni ed è già in vista una riunione dell’Ecofin, bisogna ripetere forte ai partner Ue che la politica dell’austerità di questi anni deve essere superata per cominciare ad avviare politiche di sviluppo e crescita, motore indispensabile per rimettere in moto l’Italia. Per farla uscire da una crisi senza precedenti che condiziona il futuro di ognuno, i giovani innanzitutto il cui destino va di pari passo con quello del Paese intero e che sono i titolari di un drammatico primato, quello dei disoccupati che al Sud superai il cinquanta per cento ma che, ovunque, è molto al di sopra di quella europea. A questo proposito risuona ancora, in straordinaria sintonia, l’appello che proprio l’altro giorno anche Papa Francesco ha rivolto a chi ne ha la responsabilità principale: «Non possiamo rassegnarci a perdere tutta una generazione di giovani che non hanno la forte dignità. Una generazione senza lavoro è una sconfitta futura per la patria e per l’umanità». A nessuno è consentito che ci sia una generazione «scaduta». Si conclude oggi la visita del presidente in Friuli Venezia Giulia. Una due giorni cominciata a Monfalcone con l’inaugurazione della mostra dedicata alla Grande guerra e che avrà come ultimi appuntamenti Gorizia ed Aquileia, dopo lo straordinario concerto di Riccardo Muti nella serata di ieri, sulle tracce della Grande guerra che costò migliaia di morti ma che consentì di cominciare a misurarsi con il concetto di patria. Cento anni dopo l’inizio del conflitto c’è l’Europa unita che resiste ai tentativi di minarne alla base l’identità ma, allo stesso tempo, si trova a misurarsi con la crisi, con i nazionalismi, con populismi deteriori. Un’Europa che deve fare il salto di qualità necessario per avviarsi sulla strada di quegli Stati Uniti in cui nessuno rinuncia alla propria identità ma lavora meglio di come è stato fatto fin qui a comuni obbiettivi. Sollecitazioni da lui fatte di recente nel suo incontro con in vertici dell’Europa, nel suo discorso al Parlamento di Strasburgo di qualche mese fa.
Giorgio Napolitano ha invitato a «un esercizio di memoria collettiva, di condivisione umana, di riflessione storica sulle vicende del nostro paese e dei nostri paesi, sulle vicende del nostro continente del secolo scorso, sulle ragioni e sul percorso del nostro impegno per la pace». Nelle celebrazioni del centenario, «le istituzioni europee, e la cultura europea, dovrebbero evitare un anacronistico riprodursi di antiche polemiche sulle responsabilità cui far risalire lo scatenarsi di quell’immane, sanguinosissimo e distruttivo scontro. Il punto di partenza di una nostra rinnovata riflessione e analisi critica, dev’essere piuttosto – ha spiegato – il quadro degli opposti interessi e disegni egemonici che alimentarono l’età non solo dello sviluppo di Stati nazionali in via di modernizzazione, ma dei nazionalismi e delle vecchie e nuove presunzioni imperiali».
Un ricordo personale, poi. «L’Italia uscì in effetti da quella guerra trasformata socialmente e moralmente. La mia generazione ha fatto in tempo ad attraversare gli anni della seconda guerra mondiale e quel che essa significò di distruttivo per le nostre città e per la nostra società, ma ha anche appreso dai suoi padri il tormento della prima guerra mondiale.
Mi si consenta di ricordare – come ho già fatto una volta – la testimonianza di mio padre, ufficiale di complemento al fronte, che scrisse di quei fanti in trincea, che non si svestivano da mesi e da un momento all’altro dovevano salire alla contesa linea di Monte Valbella. Ed egli volle, commosso, ricordarli impegnati nella estrema, pietosa mansione di tracciare scavare comporre, nel luogo che pareva più coperto, tombe per i resti di poveri caduti».

da L’Unità