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"Investimenti pubblici Ue e riforme made in Italy", di Fabrizio Forquet

Il rallentamento della produzione che colpisce tutti i maggiori Paesi europei non è per l’Italia un mal comune mezzo gaudio. Ma una mezza opportunità forse sì. Purché si sappia cogliere quel segnale e farne il giusto uso nell’ambito della strategia del semestre europeo a guida italiana.
È fin troppo evidente che una nuova gelata che coinvolga i nostri principali partner Ue, a cominciare dalla Germania, indebolirebbe ulteriormente il già asfittico Pil italiano. E tuttavia la condivisione, nell’ambito dell’eurozona, dei rischi di una mancata ripresa può aiutare a sensibilizzare anche i più diffidenti sulla necessità di una politica comune per la crescita. Ed è questo che oggi serve all’Italia.
Una politica comune per il rilancio economico dell’area euro che sia davvero tale. Non, quindi, una malposta questione di flessibilità per l’Italia in riferimento all’odioso parametro del 3 per cento. Piuttosto uno sforzo unitario, fatto di risorse e regole comuni, tale da costituire una massa d’urto sufficiente a far ripartire l’Italia insieme all’Europa.
Intestardirsi in un corpo a corpo per ottenere il superamento della soglia del 3% renderebbe più deboli le nostre ragioni ai tavoli della trattativa europea e porterebbe diritti a una sconfitta. Altra cosa è lavorare alla possibilità di poter utilizzare la flessibilità, prevista nei trattati, per gli investimenti produttivi fino al limite del 3%. Su questo l’Italia può avere buone chance di successo. Ma deve essere chiaro che si tratterebbe comunque della possibilità di sbloccare investimenti per pochi decimali di Pil: 5-6 miliardi di euro. È qualcosa, certo, ma non è il motore che servirebbe ad allontanare l’Italia dalle secche sulle quali è bloccata ormai da anni.
Quel motore non può che essere innanzitutto europeo. Perché solo l’Europa dispone della massa finanziaria sufficiente a smuovere una dinamica economica che ha ormai la rigidità di un cadavere.

M assa d’urto in termini di liquidità: e questa è la partita che sta conducendo con abilità e determinazione Mario Draghi alla guida della Bce. Ma nel nostro caso soprattutto in termini di investimenti e integrazione di mercato. Gli europroject bond sono qualcosa di complesso da dire e non hanno certo lo stesso appeal del grido “abbattiamo il vincolo del 3%”. Ma possono raccogliere grandi risorse finanziarie per poter rilanciare in modo significativo gli investimenti pubblici in Europa – e quindi anche in Italia – in settori strategici come le infrastrutture, le Tlc, la ricerca di base, la distribuzione dell’energia e del gas.
Chi pensa che l’Italia rilancerà la sua crescita spendendo risorse proprie di cui non dispone, e quindi creando nuovo debito pubblico, sbaglia di grosso. Gli investimenti pubblici sono essenziali per ripartire, ma deve farli chi può farli. Cioè l’Europa. E deve farli nell’interesse di tutta l’Europa e di ciascuno Stato d’Europa. Come è stato notato ieri in un seminario organizzato da Astrid e Italiadecide, la Ue ha l’opportunità – che deriva dalla sua “anomala” organizzazione istituzionale – di sfruttare in funzione anti-ciclica i suoi diversi livelli di governo con politiche fiscali differenziate. Oggi invece tutti i livelli di governo vengono impegnati in un’unica direzione, che è poi quella del rigore finanziario, se non dell’austerità. È un assurdo da superare.
Al rilancio degli investimenti su scala continentale, poi, deve corrispondere il rilancio degli investimenti privati sulla base di un ambiente economico più favorevole. E qui c’è l’altra responsabilità che grava sul governo Renzi: le riforme. Riforme per dare un motore nuovo alla macchina dello Stato, innanzitutto. E qui molte delle misure del disegno di legge delega illustrate ieri dal ministro Madia vanno nella direzione giusta (anche se resta incomprensibile il percorso di questo Ddl che è tornato giovedì scorso in Consiglio dei ministri per un nuovo sì dopo che il medesimo lo aveva già approvato il 13 giugno scorso). Nella direzione giusta va anche il Jobs act, ma preoccupano le rinnovate divisioni all’interno della maggioranza e il possibile slittamento parlamentare a dopo l’estate.
Un diretto, e positivo, impatto sugli investimenti privati può venire poi dalla riforma del Titolo V, con la semplificazione delle competenze tra Stato e Regioni. Tuttavia il testo che è approdato in Aula ripropone, su una materia fondamentale come l’ambiente, la frammentazione normativa e amministrativa sul territorio. Con il rischio evidente di non eliminare uno degli ostacoli più diretti alla realizzazione degli investimenti produttivi.
Dunque: investimenti pubblici europei, riforme, investimenti privati. Sono le tre gambe su cui può camminare la ripresa in Italia e in Europa. Tocca rafforzarle tutte insieme, senza divisioni tra partiti, tra scuole economiche e tra visioni nazionali. Anche perché i dati di questi giorni allungano la crisi per tutti e l’agosto delle tempeste perfette è ormai dietro l’angolo.

Il Sole 24 Ore 12.07.14