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"Un semestre già in bilico", di Stefano Folli

La tragedia dell’aereo malese caduto, e probabilmente abbattuto, al confine fra Ucraina e Russia è un dramma anche per l’Unione europea e un pessimo segnale per la stessa presidenza italiana.
La ragione evidente è che la crisi a est si è aggravata in forme imprevedibili, cogliendo l’Europa una volta di più senza una politica estera comune e senza un accettabile grado di coesione interna. Come è ovvio, non c’è una responsabilità specifica di chi ha appena assunto la guida transitoria dell’Unione, ma si misura tutta la difficoltà del compito. Quando la storia fa il salto, chi è debole ne paga le maggiori conseguenze. Del resto, ieri sera i sospetti erano tutti a carico dei separatisti filo-russi e delle armi loro fornite da Mosca. Ma sappiamo che in guerra, secondo il vecchio adagio, la prima vittima è la verità. Non sarà facile chiarire chi ha davvero sparato il missile fatale. Però in casi del genere le supposizioni valgono in termini politici quanto un verdetto. E quell’aereo malese quasi certamente esploso in volo, con i poveri corpi proiettati a chilometri di distanza, equivale oggi a un largo fossato che si è aperto nelle relazioni est-ovest, fra l’Europa e la Russia di Putin così come fra Washington e Mosca.
Questo non significa, come si è subito detto senza molta fantasia, che la candidatura dell’italiana Mogherini alla poltrona della politica estera sia ora compromessa. Riferimento implicito all’accusa d’interpretare una linea troppo vicina alla Russia, ora all’improvviso improponibile. Le questioni sono più serie e meno legate al piccolo cabotaggio delle polemiche domestiche. È vero tuttavia che lo stallo delle nomine per la nuova Commissione diventa adesso un serio problema. Come ha detto Romano Prodi, la paralisi decisionale, che riguarda in primo luogo la candidata fortemente difesa da Matteo Renzi, indebolisce in modo forse irreparabile la presidenza italiana.
Gli ingredienti ci sono tutti. La baldanza un po’ da guascone con cui il presidente del Consiglio ha affrontato la questione; quell’infelice battuta («se non c’era l’accordo, potevano mandarmi un sms e risparmiavo il volo di Stato»), del tutto impropria in bocca al presidente dell’Unione, da cui ci si aspetta l’opposto: che sia lui il mediatore e risolutore dei contrasti, il leader che le intese sa costruirle; infine quel nome di Enrico Letta che aleggia da giorni, messaggio fra le righe rivolto al governo di Roma. Un messaggio il cui significato è chiaro: adottate, voi italiani, il nome di Letta, proponetelo in forma ufficiale, sapendo che la sua figura offre garanzie alle cancellerie (come del resto quella di Emma Bonino) e non avrete di che lamentarvi. Si è parlato infatti di presidenza del Consiglio europeo, in aggiunta a un posto di commissario.
A queste voci del tutto ufficiose, poiché è ovvio che nessuno, se non l’Italia stessa, può avanzare una candidatura italiana, da Palazzo Chigi si è risposto con una certa stizza, reclamando «rispetto». Il problema è che questo atteggiamento puntuto può in effetti pregiudicare il semestre prima ancora che cominci, senza avvicinare la soluzione del caso Mogherini. A meno che la crisi ucraina imponga a tutti un cambio di passo. Non sarebbe strano quindi se il presidente di turno, vestendosi dei suoi panni, prendesse ora un’iniziativa per superare di slancio la paralisi, fare le nomine, trovare soluzioni e nomi adatti, cominciare a fare politica europea. Il momento è tragico, ma propizio per un colpo d’ala.

da Il Sole 24 Ore