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"Ma ora è tempo di valori comuni", di Michele Ciliberto

Come ci ha spiegato alcuni secoli fa un signore nato a Firenze, in politica sono necessarie sia la fortuna che la virtù. E non è detto che la virtù funzioni allo stesso modo in situazioni differenti: un uomo apparso virtuoso in una determinata situazione può rivelarsi inetto se viene meno il “riscontro” con il tempo. Sono insegna- menti, anzi principi, validi ieri come oggi.

Il nostro presidente del Consiglio ne è un esempio. Ha saputo cogliere l’occasione offertagli dalla fortuna e l’ha rivolta a suo vantaggio. L’Italia, in uno dei momenti più tragici della sua storia do- po la costituzione dello Stato nazionale, cercava una parola e una prospettiva di speranza, sia a destra che a sinistra; e l’attuale presidente del Consiglio è apparso in grado di dirgliela, ottenendo così una straordinario credito da parte degli italiani, come hanno mostrato le ultime elezioni europee.

Non è stato un risultato improvvisato o casuale, anzi. La virtù del presidente del Consiglio è consistita nell’aver percepito prima di altri l’esaurimento di una intera stagione della storia della Repubblica e nell’essersi preparato, per bene e per tempo, ad afferrare l’occasione. Oggi sono visibili le tappe con cui ha preparato la sua “presa del pote- re”: elezioni a sindaco di Firenze, segretario del Pd attraverso le primarie, presidente del Consiglio. Quando gli storici del futuro scriveranno la storia di questo periodo non potranno che apprezza- re le capacità di Matteo Renzi nel sape- re cogliere i segni del tempo e la sua capacità di “riscontrarsi” con essi.

Ma il “riscontro” con il tempo non è eterno. Come si è detto, la virtù – cioè la capacità – che funziona in una determinata situazione, appare inadeguata o sterile quando le cose – e i tempi – cambiano. Per riprendere un esempio fatto dal signore sopra citato, Fabio Massi- mo fu assai utile alla Repubblica romana in un momento determinato, ma per battere Annibale furono necessarie la virtù – e la capacità – di Scipione l’Africa- no: fu cioè necessario passare dalla “guerra di posizione” alla “guerra di movimento”.

Il problema che si pone oggi al presi- dente del Consiglio è precisamente questo: come continuare a “riscontrarsi” con il tempo passando dalla “guerra di movimento” a quella di “posizione”. La prima l’ha già vinta distruggendo i suoi avversari dentro e fuori il Pd; ora deve vincere la seconda, avviando una politi- ca di riforme strutturali necessarie alla Nazione. Se non vi riuscirà, il “riscontro” con il tempo verrà progressivamente meno: perché il Paese oggi vuole riforme effettive e trasformazioni strutturali e non si contenta più di dichiarazioni di principio, di affermazioni programmatiche, di retorica. Il presi- dente del Consiglio ne è consapevole e si preoccupa di dare alla Nazione un messaggio in grado di intercettare queste preoccupazioni: si sforza di essere al tempo stesso, sia pure in forma rovesciata, tanto Fabio Massimo che Scipione l’Africano.

Il punto è che per poter governare e ottenere risultati è necessario il consenso e questo, a sua volta, per poter essere profondo e strutturato, richiede che la Nazione ritrovi dentro se stessa elementi di solidarietà, di condivisione, di fiducia in un comune destino. È in altre parole necessario che dopo la disgregazione di quelli vecchi, si creino nuovi “legami” sociali, etici, culturali, perfino religiosi. È questo, a mio giudizio, il problema centrale del nostro Paese ed è qui che si fondano le possibilità di successo dell’attuale presidente del Consiglio. Se non si genera questo nuovo vin- colo culturale e politico, l’Italia non uscirà dalla crisi in cui si dibatte da decenni. Si creano solo illusioni, con il rischio di gravi contraccolpi su tutti i piani, anche su quello della tenuta democratica del- la Nazione. Siamo a un passaggio delicatissimo per l’attuale governo – e per la Nazione – anche se non tutti se ne rendo- no ancora conto.

Di qui l’esigenza di un consenso saldo, forte, organizzato. Vorrei però esse- re chiaro: quando sottolineo questo punto non mi riferisco a una generica tendenza al compromesso. Credo anzi che il rifiuto di quello che nella politica italiana era diventato il (pur nobile) principio della “mediazione”, riducendosi a un puro equilibrismo di tipo trasformistico, sia uno dei meriti maggiori dell’attuale presidente del Consiglio: guai se si tornasse indietro. In Italia ab- biamo bisogno di costruire una salda de- mocrazia su basi bipolari, evitando derive di tipo “centrista”.

Proprio per questo ritengo sbagliato, per fare un esempio, affrontare il delicatissimo problema della riforma del Senato in termini di pura contrapposizione verso tutti coloro che hanno opinioni differenti dal governo. Non sto qui a distribuire responsabilità. Mi interessa invece sottolineare un punto di or- dine generale: il conflitto è essenziale per la democrazia, ma se vuole essere efficace e positivo va organizzato, regolato, ancorato a principi di comune con- divisione politica e culturale, altrimenti si rischia di andare in direzione opposta a quella oggi necessaria. Mi sembra che questa sfera comune, su cui si innesta la dialettica tra governo e opposizione, in Parlamento in questi giorni stia venendo meno con danni per tutti. Né ritengo che nell’azione del governo vi siano, co- me alcuni sostengono, impulsi autoritari o, addirittura, pericoli per la democrazia. Mi pare che le forzature, che ci so- no, abbiano altre e serie radici: una esigenza di governabilità, che si sente salire dal Paese e che è effettivamente larga, diffusa. Penso tuttavia che proprio qui appaiono evidenti i limiti, e le insufficienze, del “riformismo dall’alto”, al quale si ispira l’attuale presidente del Consiglio, con il rischio di rinfocolare atteggiamenti di critica e di rigetto del- la stessa democrazia parlamentare.

E con ciò torno al problema che considero centrale. Nel pieno di una crisi che ormai tocca la vita quotidiana degli italiani, riducendone valore e significato, è necessario andare in direzione opposta, creando nuovi “legami”, nuovi “vincoli” che facciano sentire gli italiani parte di una comunità, impegnata sì in uno sforzo eccezionale, ma solidale e partecipe a tutti i livelli.

Oggi il governo – e anche la Nazione – stanno passando dalla “guerra di movimento” alla “guerra di posizione” e la seconda è più aspra e difficile della prima. È su questo mutamento di fase che il presidente del Consiglio, e anche le opposizioni, dovrebbero riflettere. Il nostro tempo si è disgregato spezzando antiche appartenenze e rendendo ardua la costituzione di nuove forme di solidarietà. Camminiamo tutti su sabbie mobili, misurando giorno dopo giorno la potenza delle forze distruttive e la debolezza delle posizioni che si propongono di ricostruire una trama comune che, nelle forme antiche, non potrà certo più esistere. È una tendenza che viene da lontano e che ha ormai invaso, frantumandola, la nostra stessa quotidianità: cioè la dimensione più importante della nostra vita. Lo stesso concetto di “potere”, giorno dopo giorno, è ormai cambiato. Tutto ciò non ha che fare direttamente con la politica, tanto meno con le azioni di un governo. Ma anche la politica, e il governo, devono fare i conti con queste trasformazioni strutturali, se vogliono davvero “riscontrarsi” con il tempo e ricostruire la Nazione.

da L’Unità