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“Se lei diventa informatica tra studio e tenacia la classe media è femmina”, di Maurizio Ricci – La Repubblica – 06.03.15

Il mondo è delle donne si dicono fra loro, da sempre, le donne. Nei fatti, poco più di un mantra per tenersi su. Solo che adesso è vero. O, almeno, sta diventando vero. Uno sguardo sul futuro del mondo del lavoro, il teatro per eccellenza dei rapporti sociali, ci dice che le occupazioni che innervano la società, perché su di esse si reggono le famiglie e le gerarchie sociali sono e saranno sempre più a tinte rosa. Qui non si tratta di ricchi, straricchi e di posti di comando, ma della gran massa della gente comune. In due parole, dimenticate il commesso viaggiatore che gira il paese con cappotto e valigia o il caposquadra con la tuta blu stirata di fresco.

In un mondo che va uniformandosi sempre più al modello americano di economia e occupazione, l’America ci indica quasi sempre quello che ci aspetta. E l’America, oggi, dice che la classe media è femmina.

Riflette in questa chiave, le tirate di Patricia Arquette alla cerimonia degli Oscar o di Christine Lagarde sul suo blog da direttore del Fondo monetario internazionale sulla discriminazione di cui sono vittime le donne nel mondo del lavoro centrano il bersaglio, ma sono fuori fase. Capita, quando le società cambiano: le proteste e le rivolte si fanno più rumorose e pressanti, man mano che gli spazi si aprono, non quando si chiudono. La discriminazione, in effetti, è sotto gli occhi di tutti, anche in un paese, come gli Stati Uniti, che di diritti delle donne discute da centocinquant’anni. Troppo poche, rispetto alla presenza nel mondo del lavoro, le donne manager e ancor meno quelle che hanno raggiunto i vertici. Ma, soprattutto, pesa il gap delle buste paga: stesso lavoro, stipendio minore. Un avvocato donna guadagna poco più della metà del suo collega uomo e meno dell’80 per cento se fa la bibliotecaria. Non si salvano neanche le supermanager: un Ceo donna prende il 70 per cento del suo omologo maschio. In media, la busta paga delle donne è più leggera del 15 per cento. Più o meno quanto in Europa, 16,7 per cento (a sorpresa, qui l’Italia fa eccezione: solo 7 per cento in meno). Anche in America, vale la discriminante Sud-Nord. In Louisiana, la paga di una donna è i due terzi di quella del suo collega maschio, a New York è proporzionalmente più alta. Ma non supera l’85 per cento. In più sono soprattutto le donne a ingrossare i ranghi dell’esercito dei precari e dei lavoratori part time.Ma le statistiche ci dicono anche altro, in una chiave diversa. In particolare, se ci preoccupiamo di rispondere alla domanda che inquieta gli studiosi e, ancor più, i politici dell’Occidente di oggi: che fine ha fatto quel possente pilastro su cui si sono rette le società industriali dal dopoguerra ad oggi e, cioè, la classe media? La risposta è che ha cambiato sesso. A reggere una famiglia di classe media sono, sempre più, le donne. Prendiamo le occupazioni che danno una busta paga da classe media. Per gli Stati Uniti, fra i 40 e gli 80 mila dollari (lordi) l’anno. Chi guadagna, oggi, questi soldi? Soprattutto, le infermiere. Nel 1980, solo 19 buste paga da classe media su mille facevano riferimento ad infermiere. Oggi sono 39. In cifre assolute, è il terzo plotone di stipendi da classe media, ma è quello che è cresciuto più in fretta. E il 90 per cento di chi fa questo lavoro, negli Usa, è donna. Subito dopo le infermiere, la categoria che è più cresciuta è quella degli informatici, prevalentemente maschile. Ma poi vengono periti delle assicurazioni, tecnici della sanità, insegnanti, fisioterapisti, contabili, assistenti legali, tutte professione con una preponderanza femminile. All’altro lato, quali sono le professioni che più si sono allontanate dalla dorata forchetta da 40-80 mila dollari? I lavori che sempre meno pagano stipendi da classe media sono quelli delle fabbriche, tradizionalmente maschili: operatori alle macchine, supervisori, elettricisti, trasportatori. Nel 1980, su 1000 stipendi da classe media, più di 50 erano di operatori alle macchine. Trent’anni dopo sono solo 18. A voler fare i conti da vicino, lo stipendio medio di un’infermiera è oltre il 50 per cento più alto di trent’anni fa ed è, oggi, di 9 mila dollari più corposo di quello di un tecnico delle riparazioni telefoniche, classica figura di capofamiglia degli anni ‘80.

Dietro questi riassestamenti delle gerarchie retributive ci sono i grandi mutamenti degli ultimi decenni: la globalizzazione e l’avanzata a macchia d’olio di computer e robot. La fuga delle fabbriche verso la Cina ha svuotato le fabbriche e l’identità professionale di tradizionali figure maschili, ma non ha intaccato occupazioni che richiedono un contatto diretto con l’utente, come infermiere e fisioterapiste. Il numero di operai con uno stipendio da classe media si è dimezzato, quello delle infermiere è triplicato. Anche perché, quando le fabbriche tornano in America, invece di assumere operai, dispiegano robot. Dopo le fabbriche, però, l’informatica ha devastato, in termini di occupazione, gli uffici. Gli archetipi del lavoro femminile moderno — la telefonista, la dattilografa — sono entrati nel museo delle professioni scomparse, anche più rapidamente dell’operaio di linea. Eppure, l’impatto è stato minore: le donne si sono dimostrate più capaci di reagire ai tempi nuovi degli uomini.
Come? Studiando.
Uno dei segnali fondamentali del- l’attuale mercato del lavoro americano è la richiesta generalizzata di qualificazioni sempre più alte per lavori che, fino a ieri, sembravano alla portata di curriculum meno ambiziosi. In altre parole, si chiede la laurea dove, fino a ieri, bastava il diploma. Una ricerca di una società specializzata in analisi del mercato del lavoro, Burning Glass, mostra che il 65 per cento delle offerte di lavoro per segretaria presuppongono oggi, un diploma universitario (l’equivalente della nostra laurea breve) mentre solo il 19 per cento delle segretarie in attività lo hanno. Lo stesso per i periti delle assicurazioni. Solo un quarto dei periti attuali ha una laurea, ma il 50 per cento delle offerte per nuovi posti lo richiede. Vale anche per i topi del computer. Meno del 40 per cento di chi oggi fa assistenza agli utenti dei pc, ha una laurea in tasca, ma Microsoft o Hewlett Packard e simili ne fanno un prerequisito per i neoassunti.
Vero o falso che sia che un buon titolo di studio è la chiave dell’avanzamento professionale, il punto è che senza, oggi, a quanto pare, non si comincia neanche. E le donne, qui, sono largamente in vantaggio. Negli Usa, attualmente, il 38 per cento delle donne a cavallo dei 30 anni ha una laurea. Negli anni ‘80, era solo il 15 per cento. Ma conta il paragone: il tasso di uomini che completano gli studi universitari è del 7 per cento più basso rispetto alle donne, mentre, 40 anni fa, era del 7 per cento più alto. Il sorpasso c’è stato, e pesa. Negli anni ‘80, il 55 per cento dei titolari di uno stipendio da classe media aveva solo il diploma da scuola superiore e i laureati erano appena il 25 per cento. Oggi, i laureati sono il 41 per cento e meno del 31 per cento riesce ad emergere nella classe media con in tasca soltanto il diploma. Incrociate un mercato del lavoro che pretende qualifiche sempre più alte e un gruppo che si qualifica sempre di più rispetto ad un altro che si qualifica meno e il risultato è inevitabile. Nel 1980, solo un quarto delle buste paga da classe media finiva nella borsetta di una donna. Oggi è il 44 per cento.

E in Europa? La traiettoria è simile. Nel 2012, l’83 per cento delle donne nell’Unione europea aveva completato almeno la scuola superiore, contro il 77,6 per cento degli uomini. E il 60 per cento dei laureati festeggerà l’8 marzo. Le linee, insomma, sono tracciate e non è facile vedere come le tendenze possano mutare. Christine Lagarde e Patricia Arquette hanno ragione a protestare perché gli uomini occupano sette posti su 10 che pagano più di 80 mila dollari l’anno e non si schiodano. Ma, 50 anni fa, solo il 6 per cento delle donne guadagnava più dei rispettivi mariti. Oggi, in termini di quattrini portati a casa, il 25 per cento dei capifamiglia, in America, è mamma. Farsene una ragione non è semplice: gli esperti si preoccupano di “una sfasatura fra economia e cultura”. Per i consulenti matrimoniali, il sesso rischia di non essere più il problema numero uno.