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Chernobyl, 30 anni dal disastro nucleare

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L’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl, 30 anni dopo. Quelli della mia età ricorderanno sia la grande paura che serpeggiò in tutta l’Europa, sia le ricadute sulla vita quotidiana, quali il consiglio di limitare le uscite all’aria aperta (ma milioni di italiani erano andati a godersi il bel tempo in giro, grazie al ponte del 25 aprile, mentre il vento sospingeva la nube tossica verso l’Europa continentale) o il divieto di mangiare insalata (precauzione più adatta a pacificare le cattive coscienze, forse, che non a proteggere la salute…). ll pericolo nucleare si palesò in tutta la sua drammaticità: 66 i morti ufficiali, migliaia (secondo alcuni milioni) i decessi come conseguenza delle radiazioni. L’esplosione a Cernobyl ha condizionato – giustamente – le scelte dell’Italia sul proprio piano energetico, con il referendum che ribadì il proprio no al nucleare: non fu una reazione emotiva, bensì la valutazione dei rischi connessi alla produzione di quel tipo di energia, in particolare delle conseguenze di possibili contaminazioni o danni alle centrali nucleari, che chiedono un prezzo da pagare assolutamente sproporzionato ai benefici immediati apportati da questo tipo di energia. Il bel documentario proposto in questi giorni da Sky ricostruisce la dinamica dei fatti e racconta l’oggi, con la natura che si sta lentamente riappropriando di spazi che l’uomo dovrà, invece, attendere migliaia di anni per tornare ad abitare. Solo 5 anni, invece, sono passati dall’altra grande tragedia nucleare, quella di Fukushima in Giappone, innescata da un terremoto di magnitudo 9.0. Il pregevole documentario “A nuclear story” del giornalista italiano Pio D’Emilia, corrispondente dal Giappone, sottolinea, nel confronto tra i due disastri nucleari, quanto poco siamo informati su quanto capitato alla centrale di Fukushima e sull’enorme disastro che è stato sfiorato ma non ancora scongiurato (dato che ancora oggi acqua radioattiva continua a riversarsi nell’oceano). E’ vero, il Giappone è lontano ma, davvero, questa vicenda deve inquietare meno le nostre coscienze? La nube di Chernobyl dimostrò che non c’erano confini o barriere terrestri che potessero fermarla. Ecco perché sarebbe necessaria una maggiore condivisone europea sul tema della politica energetica, anche perché i paesi a forte produzione di energia nucleare, come la Francia, hanno collocato le centrali lungo il loro confine nazionale, cioè prossime agli altri paesi… Il disastro di Chernobyl è però stato anche l’occasione, per i nostri territori, di dare prova di solidarietà. I Comuni di quelle che sarebbero poi state ribattezzate le Terre d’argine si attrezzarono per venire in soccorso delle popolazioni che vivevano nelle zone circostanti alla centrale nucleare, soprattutto i bambini. Per anni, e ancora oggi, associazioni, enti locali, polisportive, famiglie delle Terre d’Argine hanno ospitato, e ospitano, per periodi di soggiorno, i ragazzini delle zone contaminate. Si era dimostrato, infatti, che allontanamenti anche brevi portavano immediati benefici alla salute di questi ragazzi. Una storia di solidarietà, nata dalle ceneri di un disastro.

photo credit: The Last Impression | Chernobyl Exclusion Zone, Ukraine via photopin (license)