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Riforma costituzionale, risparmi di spesa per il funzionamento di parlamento e consigli regionali (art. 69 e 122)

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Il viaggio nella riforma costituzionale affronta, oggi, il tema della riduzione delle spese per il funzionamento del Parlamento e dei consigli regionali, attraverso l’analisi degli articoli che riguardano l’indennità parlamentare (art. 69) ed il limite agli emolumenti per i consiglieri regionali (art. 122).
Per effetto della modifica apportata all’articolo 69, ai senatori non sarà più riconosciuta alcuna indennità, che verrà quindi corrisposta ai soli deputati, secondo quanto stabilito dalla legge.
La legge vigente (n. 1261 del 1965), al fine di garantire “il libero svolgimento del mandato”, stabilisce che l’indennità non può superare il trattamento lordo corrisposto ai magistrati presidenti di Sezione della Corte di Cassazione, diminuito del 10%. Esso è costituito da quote mensili “comprensive anche del rimborso di spese di segreteria e di rappresentanza”oltre alla diaria, a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma. La modifica dell’art. 69 determina quindi che ai senatori, che sono anche sindaci e consiglieri regionali, spetterà solo il compenso per la carica di rappresentanza territoriale che rivestono. Per i nuovi senatori di nomina presidenziale (5 complessivamente, che abbiano “illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”) non è prevista alcuna indennità, mentre lo è per i senatori ex Presidenti della Repubblica e per i senatori a vita attualmente in carica (e che permarranno nel ruolo, ad ogni effetto, fino a decadenza “naturale”).
L’argomento dell’indennità parlamentare è all’ordine del giorno, ed è stato discusso all’inizio della settimana scorsa alla Camera: ne ho parlato in un altro post, al quale rinvio.
Sulla nuova disposizione dell’art. 69, interviene anche la modifica apportata all’art. 122, che individua nell’importo spettante ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione il limite agli emolumenti del presidente della Giunta e dei consiglieri regionali. Il limite fa riferimento ad un parametro che non è unitario, ma che varia da Comune a Comune in base ad una serie di fattori, in particolare alla dimensione demografica dell’ente. Questa disposizione non si applicherà alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime.
Riguardo al limite agli emolumenti dei consiglieri regionali, si ricorda anche un’altra disposizione della legge di riforma costituzionale (articolo 40, comma 2), che vieta la corresponsione di “rimborsi o analoghi trasferimenti monetari recanti oneri a carico della finanza pubblica in favore dei gruppi politici presenti nei Consigli regionali”.
Questo insieme di norme – ed altre sulle quali ci si soffermerà nelle prossime “puntate” – rientrano in quel “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” richiamato nel titolo della legge costituzionale e che è stato utilizzato come quesito referendario.

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La riduzione della spesa pubblica non è, ovviamente, la motivazione principale della riforma costituzionale (e già mi sono espressa negativamente, per il messaggio sbagliato che lancia, sulla campagna pubblicitaria per il Sì che annuncia – tra le motivazioni per un voto favorevole – la diminuzione dei politici); l’obiettivo prioritario è quello di rendere il nostro sistema parlamentare più semplice e più efficiente, anche attraverso l’eliminazione del bicameralismo paritario (su cui ebbe ad esprimere perplessità anche il presidente della Commissione dei 75, Meuccio Ruini, nell’illustrare i lavori all’Assemblea costituente) e la realizzazione di un procedimento legislativo più snello. Un obiettivo di efficacia e sobrietà che si raggiunge, comunque, anche attraverso la riduzione del numero dei senatori (215 in meno), la mancata previsione delle indennità per i nuovi senatori, il limite agli emolumenti dei consiglieri regionali e il divieto di rimborsi pubblici ai gruppi politici presenti nei Consigli regionali… In sintesi – per dirla con le parole della vice presidente della Camera, Marina Sereni – la “riforma serve per ridurre i costi diretti delle istituzioni e per incidere sui costi indiretti, sulle inefficienze e lentezze del sistema che fanno perdere al Paese investimenti, dinamismo, credibilità”.