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Il lavoro delle donne tra sessismo e gap stipendiale


Per fare girare un’azienda ci vuole un uomo, non importa se solo virtuale, i clienti si rassicurano e gli affari decollano. E’ la paradossale, ma anche emblematica, conclusione a cui sono arrivate due giovani intraprendenti americane fondatrici di un sito di e-commerce. Facendo firmare e-mail e proposte da un fantomatico Keith, le risposte fioccavano veloci e nessuno si permetteva battute su inviti a cena o il benevolo appellativo di “ragazzo”. Il sessismo nel mondo del lavoro continua a essere una pratica consolidata, nonostante le battaglie condotte dalle donne e gli indubbi passi avanti compiuti negli ultimi decenni. Complice anche la crisi economica globale che ha reso più precarie le vite nelle fabbriche come negli uffici, il gap di genere nel mondo del lavoro si è allargato e l’Italia non fa eccezione. Secondo il World Economic Forum, che ha steso l’ennesimo “Gender gap index”, nel 2016, l’Italia è scivolata al 50esimo posto (su 144 Paesi presi in considerazione) per le disparità di genere in senso lato, ma nello specifico del mondo del lavoro rotoliamo al 117esimo posto al capitolo “opportunità economiche” e siamo addirittura 127esimi per la differenza retributiva a parità di mansioni. Detto in soldoni (o meglio in soldi), la disparità si traduce in 3mila euro l’anno di meno guadagnati dalle donne, pur facendo lo stesso lavoro degli uomini, 11mila a livello dirigenziale (tra la minoranza di donne che riescono a salire i gradini delle gerarchie aziendali, si intende). Eppure tutti gli studi macroeconomici ci dicono che una delle leve per far ripartire l’economia è proprio quella di una presenza massiccia delle donne nel mondo del lavoro: crescono i redditi delle famiglie, si allargano i consumi e il bisogno di servizi. Questo se vogliamo quantificare solo gli aspetti economici, perché è difficilmente misurabile, praticamente incommensurabile, l’altro grande obiettivo che verrebbe raggiunto: la possibilità per ogni donna di realizzarsi compiutamente come persona, non solo capace di cura, ma soggetto attivo della società a cui apporta competenze, energie e possibilità di ulteriore sviluppo.